Romeo e Giulietta è la storia di un ragazzo che scavalca un muro per amore. Oggi molti muri dividono il mondo e scavalcarne uno è un’azione rivoluzionaria. Pensavamo di mettere a confronto ragazzi cristiani e musulmani come se fossero Montecchi e Capuleti, ma della guerra sapevano poco o niente. Erano solo felici di stare lì. A leggere, discutere, recitare, emozionarsi. Questo Romeo che scavalca sta dentro ognuno di noi e ha bisogno di molto, molto coraggio. (Giovanni Covini)
Metti una mattina di fine luglio a Milano la proiezione di un docufilm al Centro Asteria, un luogo storico per chi vive in zona Gratosoglio (quartiere alle porte di Milano sud, ndr), che si propone da anni come luogo e spazio dedicato ai giovani.
Who’s Romeo, questo il titolo, è un progetto indipendente nato da una idea e dalla regia di Giovanni Covini, prodotto dal Centro Asteria stesso, con la partecipazione in qualità di attrice di Valentina Malcotti (aiuto regista di Covini dal 2014) e le musiche originali di Alessandro Papaianni.
Il docufilm è una riflessione sulla situazione sociale del nostro paese: sei ragazzi di Gratosoglio, quartiere a maggioranza islamica, in parte cristiani in parte musulmani, in parte credenti e in parte no, affrontano la lettura dell’opera di Shakespeare.
Scoprire gli avvenimenti di “Romeo e Giulietta” li aiuterà a mettere in discussione sé stessi e a riflettere sui conflitti tra diverse culture che vivono ogni giorno, a scuola o in famiglia, o in generale sul ruolo delle nuove generazioni nel contesto sociale di oggi.
Attraverso la lettura dei cinque atti dell’opera, insieme a Valentina Malcotti, i ragazzi affrontano le proprie vite, aprendosi e confidandosi, arrivando fino a confessare speranze, delusioni e dolori, spesso anche attraverso il rapporto con figure adulte. Atto per atto, Shakespeare viene letto, discusso, recitato: in questo modo, sei estranei son diventati amici.
Il risultato, in alcune scene, è particolarmente commovente, soprattutto quando alcuni dei protagonisti decidono di mettersi a nudo, raccontando il difficile rapporto con i genitori, e in alcuni casi con l’abbandono.
È lì che emerge la cosa più importante di Who’s Romeo: l’incredibile fiducia che, nell’arco dei due anni di lavorazione del film, si è instaurata tra il regista, la troupe e i sei ragazzi protagonisti e che è probabilmente il risultato migliore cui un film indipendente come questo potesse aspirare.
E alla fine della proiezione siamo tutti più consapevoli che i muri fra le civiltà sono ancora molto alti e spessi, ma soprattutto difficili da scalare. E per farlo serve coraggio, parecchio coraggio appunto.
Il docufilm è stato inserito nella sezione “GeX Doc” del Giffoni Film Festival 2019. Abbiamo intervistato Giovanni Covini proprio mentre stava andando al Giffoni per un incontro con il pubblico in compagnia del cast, e abbiamo fatto quattro chiacchiere su Who’s Romeo, sul cinema e sui suoi progetti futuri.
Chi è Giovanni?
Giovanni è un nome al plurale, ce ne sono tanti. Chi è “Giovanni”? Credo sia il motivo per cui sono vivo: cercare di capirlo.
Descriviti con tre parole.
Userò il titolo di un film per farlo: Mangia, Prega, Ama.
Da piccolo cosa sognavi di fare?
Il musicista e verso i 15 anni il regista.
Quando hai capito che avresti fatto questo di lavoro?
Esattamente a 14 anni, durante un periodo in cui mia madre mi faceva vedere film neorealisti di cui io mi sono innamorato subito, dando chiari segni di disturbo (ride, ndr). Un paio di anni dopo, quando andavo in Sormani a studiare durante gli anni del liceo classico, per fare le versioni di latino velocemente, le copiavo e studiavo in un quarto d’ora e poi correvo in sala video a vedere i film di Truffaut. Ho visto “L’amore fugge” e me ne sono innamorato completamente e mi sono detto “voglio fare quello!”:
Cosa ti ispira?
Tutto ciò che mi sciocca o mi smuove. La scossa nel bene o nel male, serve sempre a qualcosa.
Who’s Romeo: da dove è nata l’idea?
Risale a quando avevo 23 anni circa, dopo aver visto il film “Layla Ma Raison” (film tunisino del 1989, ndr), una sorta di “Romeo e Giulietta” ambientato nel deserto. Ho capito, anche grazie a quel film, che “Romeo e Giulietta” era qualcosa di più. Da adulto volevo capire cosa fosse quel di più e raccontarlo. Durante la strage di Nizza del 2016, ero a cinquanta chilometri dall’accaduto. Ho “respirato” il clima di tensione che avevo intorno e ho avuto l’illuminazione: parlerò dell’opera di Shakespeare attraverso una sorta di trasposizione sullo scontro tra cristiani e musulmani.
Come mai senza punto interrogativo?
Perché è una domanda secca e affermativa, senza cortesie. Come quelle che ci facciamo nella mente.
Il ricordo più bello dei due anni di lavorazione al film?
Quando abbiamo mostrato il documentario in gran segreto, con le scene relative alle loro madri ad Assala e a Marilyn (due delle protagoniste, ndr) , dando loro la possibilità di tagliarle. Sono due scene reali, che raccontano la loro esperienza di abbandono o difficoltà e il fatto che nessuna delle due abbia avuto il minimo dubbio sul tenerle, per noi è stato un segnale enorme di fiducia rispetto al rapporto che avevamo instaurato.
Il film è portavoce di un messaggio: l’arte diventa un linguaggio comune per trasmettere in un senso di comunità e fratellanza. All’inizio delle riprese, pensavi ci sareste riusciti così bene?
Ho preferito non pensarci. Questo film è finito, a differenza di altri che sono rimasti incompiuti. Questo è il rischio che corre ogni film indipendente realizzato senza un budget alle spalle. Ma è proprio questo che ti spinge ogni giorno e ti aiuta: quando arrivi alla fine, sai che è il frutto di tutto ciò che potevi fare.
Who’s Romeo, parla ai giovani, ma ci sembra parli anche “con” i giovani. Sei d’accordo?
Assolutamente. E mi piace molto che si evinca. Per me era fondamentale e l’ho spiegato molte volte. Questo doveva essere un film con i ragazzi e sul rapporto che loro potevano avere con questa storia d’amore che poi in fondo è il dramma di amare un nemico.
Sul perché la scelta sia caduta su Romeo e Giulietta ci pare evidente dopo aver visto la proiezione, se potessi rifarlo con un altro testo o un’altra opera, quale sarebbe?
“La vita è sogno” di Calderon De La Barca. Credo che oggi avremmo molto bisogno del monologo di Sigismondo e di capire che l’applauso che riceviamo lo scriviamo nel vento. Credo che i like oggi siano l’applauso che tutti noi cerchiamo. Il meccanismo dei like fa scattare in noi una necessità di ricompensa e per questo, lo bramiamo ogni giorno.
Cosa differenzia il lavoro con gli adulti da quello con i ragazzi?
C’è differenza riguardo alle difese. Gli adulti possono avere le difese più alzate, i ragazzi meno. E dipendono spesso dalla loro cultura o ideologia. Con i ragazzi è più naturale che si abbassino soprattutto quando viene detta la verità.
Cos’è per te la bellezza?
Una risonanza, quando senti che sei fatto a somiglianza del resto del cosmo e che le cose coincidono.
Chi è il tuo maestro?
Truffaut, senza alcun dubbio. E moltissimo mia moglie: lei non crede quasi a nessuna storia. Se ci crede è perché la vaglia col buon senso, ma quando ne trova una vera se ne innamora e si commuove. Questo per me ha rappresentato una selezione. Un po’ l’ho odiata, ma la ringrazio tanto.
4 registi di cui non potremmo fare a meno.
Truffaut, Orson Welles, Jonathan Demme e Ken Loach, anche se forse oggi è cambiato.
Il film che porteresti con te su un’isola deserta.
“La signora della porta accanto” di Truffaut.
Il film più bello e quello più brutto che hai visto nell’ultimo anno.
Quello più brutto è un film italiano ma non dirò il titolo (ride).
Il più bello “First Man” o “Tre Manifesti a Ebbing“.
L’attore con cui ti piacerebbe lavorare.
Luca Marinelli! Ha la capacità di essere pericoloso: non sai mai cosa potrebbe fare come attore da un momento all’altro.
Cinema e comunicazione: potenzialità e criticità.
La potenza del cinema, a differenza degli altri media, è che non racconta le cose, ma dà uno sguardo sulle cose e ti fa capire che queste sono il senso che noi gli diamo, e ciò presuppone coraggio. Il senso che gli diamo può non piacere, essere scomodo o scabroso. E la verità è complessa da accettare, e questo spesso rende difficile che venga effettivamente prodotta. Il limite è il coraggio. E la possibilità è la verità che potremmo scambiarci.
Cosa bolle in pentola: progetti futuri?
Fare film di osservazione di alcuni contesti specifici. Non raccontare nessuna storia ma rimanere a osservare. Documentari che non promettono di andare nelle sale. Non sfonderemo neanche stavolta e siamo contenti così.
Ecco alcuni dei premi vinti da Who’s Romeo fino a oggi:
– vincitore del Port Orchard Film Festival 2019
Best Documentary Cinematography and Audience Favorite Award
– vincitore del East NorthEast International Film Festival 2019 / Newburgh US
Best Documentary
– selezionato al Giffoni Film Festival 2019
– finalista al Swindon Indipendent Film Fest 2019
– semifinalista al Visualist Film Festival 2019 / San Pietroburgo
Le prossime proiezioni in programma a novembre:
– Milano, il 17 novembre alle 18:00 al Festival Acquerò, lo spirito del cinema presso il Centro San Fedele di Milano
– Bellinzona, al Castellinaria Festival del Cinema Giovane, dal 16 al 23 novembre
– Cosenza, al Myart International Film Festival 2019, dal 5 al 9 novembre 2019
PH: Centro Asteria