È il momento giusto per parlare di mobilità urbana e di spazio pubblico. Il 2024 si è aperto con un dibattito sulle città 30 a dir poco vivace. Argomento che prima non si filava nessuno e ora diventato un trending topic grazie alla coraggiosa scelta di Bologna di abbassare la velocità a 30 km/h per rendere le strade più sicure e non solo. Il senso di una città 30 è tener conto della qualità della vita di tutte le persone, anche le più fragili. E se pensiamo che oggi oltre l’80% delle nostre strade è occupato solo dalle auto, qualcosa ci dice che lo spazio cittadino non è suddiviso proprio equamente.
Di egemonia urbana ha parlato per noi Veronica Motta, editor che ha vissuto gli ultimi quattro anni in Olanda, con Chris Bruntlett, responsabile Relazioni Internazionali della Dutch Cycling Embassy. Si sono incontrati a Utrecht e questo è il suo racconto.
Egemonia Urbana
Correvano gli anni 70’, quando Amsterdam si trovava immersa in quella tipica vita di città, scandita dai ritmi compulsivi e avvolgenti, congestionati dal traffico automobilistico, dagli stressanti tempi di percorrenza e dalla mancanza di aria, verde e sicurezza. Una situazione che conosciamo bene nelle più maestose città italiane del 2024. Roma, Milano, Firenze e Torino, per esempio, progrediscono quotidianamente tra incidenti stradali e tutta una serie di lotte che riguardano lo spazio, la velocità, il comfort e la vita stessa.
La Commissione Europea, a tale proposito, continua la sua campagna tesa a sottolineare l’urgenza e l’importanza di una mobilità urbana più sostenibile, poiché è nelle città stesse che si gioca la sfida per il futuro.
Che Fare?
Prendiamo gli olandesi: per contrastare il collasso socio-ecologico degli ultimi 50 anni, aggiunsero la bicicletta all’equazione dei trasporti, fornendo una risposta che segue una logica di addizione e di nuove opportunità. Quello di Amsterdam, oggi è un modello mondiale di mobilità urbana rigenerativa, esito di un lungo processo comunitario fatto di riforme cittadine, attivismo e resilienza socio-culturale.
Quali sono le ragioni e gli obiettivi nel promuovere la viabilità ciclistica nel vostro paese?
L’obiettivo finale, vero per intenderci, non è semplicemente far sì che le persone vadano in bicicletta. La bici, piuttosto, dovrebbe essere vista come uno strumento sociale per raggiungere scopi più ampi, come migliorare la qualità della vita nelle nostre città. La bicicletta migliora la vivibilità urbana, aumenta le connessioni sociali, incentiva la fiducia reciproca e favorisce la salute fisica, mentale ed economica, allo stesso tempo. Dove le persone muovono il corpo, i bambini possono andare a scuola in maniera indipendente e gli anziani invecchiano e partecipano alla società senza preoccuparsi di essere esclusi da cause urbane.
Da come la descrivi, la bicicletta è un mezzo, se non un approccio, per l’uguaglianza, la vivibilità e la sostenibilità. Come può, questo piccolo e semplice mezzo da solo, portare a tale rivoluzione. Dove si inizia?
Portare più persone sulla bicicletta è sicuramente il primo step per creare città migliori, ma questo non può accadere tramite la sola costruzione e implementazione delle infrastrutture. C’è questo modo di dire: “Costruisci, la gente arriverà”. E questo è vero! Se costruisci delle reti e dei percorsi che hanno le persone come protagoniste, stai certa che inizierai a vedere sempre più persone in bicicletta. Ma è solo una parte del tassello! Se da una parte è importante rendere la bicicletta attraente, funzionale e accessibile, bisogna anche disincentivare il traffico automobilistico filtrandolo, rendendolo indiretto, scomodo e costoso. Ciò significa progettare e fornire opzioni più tranquille, sostenibili e responsabilizzate. In fondo, lo scopo a cui tende la bicicletta, è quello di sostituire tutti quegli spostamenti brevi e inutili, che hanno un vero e proprio impatto negativo sulla qualità della vita, sull’ambiente e sul rumore nelle nostre città.
La bicicletta può migliorare la qualità della vita, ma cosa mi dici della città e della sua prosperità?
La bicicletta si è diffusa ampiamente nei paesi nordici, perché è stata semplificata, facilitata e valorizzata dal valore economico positivo che può scaturire dal suo utilizzo. Andare nei negozi, a scuola, a casa di amici o in ufficio diventa più semplice. Puoi vivere la tua vita usando la bici non al 100% ma per la gran parte del tempo, poiché si adatta alla maggior parte dei percorsi esistenti nelle città. Si crea così un valore culturale-paritario.
A questo punto, per comprendere meglio le basi per la creazione di questo modello di mobilità urbana, chiedo: “Cosa è venuto prima, la cultura ciclistica olandese o le sue infrastrutture?”
La verità è che non esiste una senza l’altra. La cultura ciclistica e le infrastrutture devono lavorare di pari passo. Serve una cultura costruita attorno all’infrastruttura, che proponga attività stimolanti e che garantisca l’accesso ai mezzi proposti. La bicicletta, è per noi un vero e proprio mezzo di trasporto pratico, utilitaristico, per tutti i giorni. Serve a portare la spesa, accompagnare i propri figli a scuola, raggiungere il luogo di lavoro indipendentemente dal tempo, dall’età, dalle condizioni fisiche, economiche o politiche. La cultura dei Paesi Bassi si fonda su questa visione.
Chi ama spostarsi in auto viene escluso da questo sistema?
Assolutamente no! Bisogna includere le persone che amano guidare, ma dobbiamo iniziare a far pagare il giusto prezzo per il terreno e lo spazio occupato dalle auto private e altri mezzi. Ad esempio, la tariffa standard di un parcheggio nei Paesi Bassi va dagli 8 ai 10 euro all’ora. Questo perché guidare un’auto in città non è un diritto, ma un privilegio di pochi che pesa su molti e ne siamo consapevoli.
Dovremmo vedere lo spazio come elemento cruciale e imprescindibile per la creazione di comunità resilienti e città future?
In larga misura si tratta solo di spazi, lo abbiamo visto durante la pandemia. Senza traffico la gente utilizzava le strade e le piazze per incontrare amici e vicini in modi sempre nuovi e diversi, invece di nascondersi nei propri appartamenti al riparo dal rumore, dallo stress e dall’inquinamento. Il fatto è che, la maggior parte dello spazio pubblico a disposizione, viene utilizzato come deposito al servizio di auto private o simili. E se venisse impiegato per offrire possibilità alternative? Aree virtuose e prossimali in cui le persone desiderano trascorrere il tempo, fare acquisti e partecipare ad attività insieme? “Ecco come si creano città resilienti: progettando un terreno comune per tutti, luoghi in cui le persone possono riunirsi e vivere meglio”.
Come possiamo ridurre gli attriti tra automobilisti, ciclisti e pedoni, e mettere fine alle sempre più frequenti lotte tra spazio, velocità e sicurezza?
Come avvocati, urbanisti, architetti e persone in generale, dovremmo trovare un modo per comunicare tra di noi e spiegare che questa non è una competizione che ci vede gli uni contro gli altri, ma un modo sicuro e funzionale per vivere in armonia. Assumendo una prospettiva olistica, possiamo ridurre la quantità di conflitti. Bisogna creare strade diversificate, dedite ad ogni categoria e ricordarci che non apparteniamo o non ci identifichiamo con un unico mezzo, ma con un complesso fluido di essi. Alla fine stiamo tutti cercando di raggiungere gli stessi luoghi, o mi sbaglio?
Quale può essere un suggerimento per costruire infrastrutture e reti migliori?
Siamo tutti esseri umani e commettiamo errori; per questo diventa importante capire come progettare. Se le persone non sanno andare in bici, non dovresti fornire l’infrastruttura, ma iniziare insegnando, educando.
Puoi darci qualche ‘perla di buon senso’ da portare nelle nostre città nel 2024?
Le persone, oggi, guidano la propria automobile in modo così semplice ed economico che cambiare questo meccanismo può spaventare o sembrare impossibile. Non appena si parla di rimuovere una carreggiata, le persone imprecano ed invocano l’apocalisse. Quello che dobbiamo capire, è che si tratta solo di alcuni soggetti: la maggioranza, forse quella meno rumorosa o attiva, è impegnata a vivere la propria vita quotidiana e non si espone perché non sa come dirlo o dimostrarlo. La sfida che ci poniamo è proprio questa: capire come far luce sull’argomento e come trasmetterlo ponendo le giuste domande.
Quali sono le domande da porci dunque?
- Come vuoi che sia la tua città tra 5-10-15 anni?
- Quali attività sociali vorresti nelle strade?
- Vuoi strade più sicure dove poter far giocare i tuoi bambini?
- Sei soddisfatto di due corsie di auto parcheggiate davanti a casa tua?
- Sei soddisfatto del rumore? E dell’inquinamento?
“Riducendo, ripensando e innovando i propri mezzi di trasporto e il concetto stesso di mobilità urbana, le città possono migliorare il proprio consumo energetico, ambientale, ed economico.”
Di città più eque e mobilità urbana abbiamo parlato di recente anche con Federico Parolotto, architetto-CEO di MIC-HUB, e Cinzia Baralla di Decisio. Continuate a seguirci perché il viaggio non finisce qua.