Sharenting e baby influencers: perché genitori, piattaforme e aziende devono darsi una regolata

13 Giugno 2024
Posted in Digital
13 Giugno 2024 Sottosopra Comunicazione

Sharenting e baby influencers: perché genitori, piattaforme e aziende devono darsi una regolata

Baby influencer

Quanto condividi dei tuoi figli sui social media? E quanti contenuti guardi dei figli altrui? Se hai meno di 40 anni, è probabile che i tuoi album fotografici siano quasi esclusivamente digitali, condivisi con un numero più o meno vasto di amici o follower. Un numero sicuramente più ampio rispetto a quello delle persone che avevano accesso agli album stampati della tua infanzia. 

Per la mia generazione (chi scrive è Millennial) è piuttosto comune annunciare una gravidanza postandone l’ecografia. Condividere la nascita con la foto della manina: braccialetto e nome, ospedale e data di nascita bene in vista. E poi un’innocente escalation di pasticci casalinghi, uscite con amici e altri bimbi, gite, il primo giorno di scuola. 

Certo, ognuno di noi ha un diverso standard d’utilizzo dei social media, che va dall’avere un profilo praticamente invariato dai tempi dell’università (anche se hai 38 anni e tre figli che non mostri mai) ad essere Chiara Ferragni, passando dal tremendo escamotage del coprire la testa dei figli con sorridenti emoji fuori scala.

Ma oltre al nostro di profilo, che succede a quello di chi con i social ci lavora, coinvolgendo i figli come baby influencer? E che succede ai figli, nostri e di Ferragni, che mai nella storia dell’umanità hanno goduto di tale sovraesposizione? 

In due parole: nulla di buono. Oggi parliamo di sharenting, di lavoro minorile e di diritti dell’infanzia.

Il fenomeno dei baby influencer: facciamo il punto

Per scelta, in quest’articolo non condivideremo nessuna foto né nessun link a profili di influencer minorenni. Ma il mercato è in crescita. Basti sapere che in Italia il panorama spazia dagli instagrammer decenni con 200k follower agli YouTuber in età da scuola materna che pubblicizzano giocattoli su canali da 4milioni di follower. Il target è quello delle famiglie, sia in termini di vendite che di intrattenimento.

Baby influencer e sharenting: similitudini e differenze

I baby influencer o kidfluencer sono i bambini che appaiono sui social media al fine di promuovere prodotti o servizi. Dei veri e propri influencer gestiti dai genitori/manager che ne sfruttano la fama (acquisita a suon di storytelling social e over-sharing di foto e video) per fatturare. 

Lo sharenting è invece un neologismo americano che deriva dall’unione delle parole share (condividere) e parenting (genitorialità). Con il termine sharenting si intende il fenomeno della sovraesposizione online di contenuti che riguardano i propri figli/e, in uno spettro che va dalla giovane donna la cui intera personalità si risolve nell’essere madre a Fedez.

Social media e bambini: i rischi

Dal sito del Garante della privacy si legge che “lo sharenting è un fenomeno da tempo all’attenzione del Garante, soprattutto per i rischi che comporta sull’identità digitale del minore e quindi sulla corretta formazione della sua personalità. La diffusione non consensuale di immagini rischia inoltre di creare tensioni anche importanti nel rapporto tra genitori e figli. È dunque necessario che gli adulti siano consapevoli dei pregiudizi cui sottopongono i minori con l’esposizione in rete (tendenzialmente per sempre) delle loro foto, anche in termini di utilizzo di immagini a fini pedopornografici, ritorsivi o comunque impropri da parte di terzi.”

Alfabetizzazione digitale e minori

Ma quanto siamo realmente consapevoli, in quanto adulti? A guardare i social di parenti, amici e vip sembrerebbe molto poco, nonostante i social network abbiano monopolizzato Internet dagli anni zero ad oggi, dandoci il tempo di assistere a tremendi casi di cronaca legati alla condivisione non consensuale di foto e video, al revenge porn, alle truffe digitali. Eppure, pare che molti di noi si approccino alla rete come fosse la chat whatsapp di famiglia: lo sharenting è lo standard.

I rischi principali

  • Sfruttamento economico. Genitori e aziende concorrono a scavalcare i diritti e le esigenze dei bambini per un ritorno economico.
  • Violazione della privacy, che può trasformarsi in: 
    • Furto d’identità.
    • Mancata tutela dell’immagine del bambino/a, essendo impossibile controllare la circolazione di un contenuto una volta pubblicato. Un tema che piò avere effetti concreti e reali sul futuro, oltre che sul presente dei propri figli/e.
    • Inquinamento della reputazione dei bambini, che possono dover affrontare problemi di bullismo e molestie da parte di pari, adulti o utenti di internet.

 

 

Psicologia dello sviluppo e social media

Dal punto di vista psicologico, sono numerosi i possibili effetti negativi dello sharenting e del kidfluencing sulla regolazione emotiva e l’interazione tra pari e con adulti (in primis i genitori).

Una volta diventati consapevoli della propria sovraesposizione mediatica, i ragazzi possono sviluppare un rapporto complicato con la percezione di sé e l’autostima. Chi lavora sui social media sa quanto sia psiclogicamente difficile gestire i commenti degli haters, figuriamoci per un minore che non ha neanche mai acconsentito alla pubblicazione della propria immagine online. 

Cam Barrett, ex star bambina dei social in balia della madre, racconta che “Alle medie, i bulli usavano i contenuti pubblicati da mia madre per deridermi, causandomi ansia e problemi di salute mentale”

La giovanissima Cam smise di raccontare la propria vita alla madre perché sapeva che sarebbe stata trasformata in content: “quando incontravano nuove persone, mi chiedevo se avessero già googlato l’intera storia della mia vita. Al liceo, i ragazzi mi inoltravano le foto imbarazzanti che trovavano sulla pagina Facebook di mamma. Ora non uso più il mio nome legale perché non voglio che le persone possano risalire a tutta la mia vita su internet”.

Il rapporto con i genitori è destinato a incrinarsi: i ruoli si confondono quando è il figlio a portare a casa il fatturato e la famiglia il suo management. I genitori dovrebbero offrire un amore incondizionato, accoglienza e sussistenza, non comportarsi in maniera strategica e manipolatoria. 

E cosa aspettarsi quando i baby influencer entreranno nell’adolescenza, ribellandosi ad una famiglia che ha generato profitto sulle loro spalle, magari senza neanche intestargli un libretto postale? (Al momento, la legge italiana non lo prevede).

Apparire sui social è un lavoro? Similitudini e differenze tra baby influencer e baby attori

Un’obiezione potrebbe essere “beh, ma allora gli attori piccolissimi!?” Non che sia esattamente una consolazione, visto il difficile rapporto con la fama e gli abusi degli ex-divi bambini. Non mancano infatti esempi di giovanissimi dello star system con una vita adulta non esattamente risolta. 

Ma non solo, Chris McCarty, ex baby influencer americano racconta “ho parlato con alcuni attori bambini, e una delle cose che mi ha colpito di più è che nel loro lavoro c’era una distinzione netta tra il set e la vita privata. Per i kidinfluencer è come vivere in un set cinematografico tutto il giorno, tutti i giorni.”

I baby influencer vivono in una sorta di perenne Truman Show non consensuale, con tutti i rischi che derivano dal crescere in un mondo simulato e lontano da quello degli altri bambini.

Baby influencer e sharenting: lavoro minorile non tutelato?

La legislazione italiana sulla privacy e la tutela dei minori

In Italia non esiste una norma specifica che disciplini il fenomeno dei baby influencer, ma solo disposizioni generali che si possono applicare ai singoli casi in sede legale. Alcune di queste sono:

  • L’articolo 32 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta lo sfruttamento economico e il lavoro dannoso per lo sviluppo fisico, mentale e morale dei minori.
  • Le norme sulla responsabilità genitoriale, che attribuiscono ai genitori il compito di educare e curare i figli, nel rispetto dei loro diritti e delle loro potenzialità.
  • Le norme sull’uso dell’immagine, che richiedono il consenso di entrambi i genitori per la diffusione dell’immagine dei minori.
  • Le norme sulla privacy europee (GDPR), che stabiliscono che i minori di 14 anni non possono iscriversi alle piattaforme social, e che i dati personali dei minori devono essere trattati con particolare cautela, nel rispetto del loro diritto alla protezione.
  • Le norme sul lavoro: in Italia un minore può lavorare dai 16 anni, eccezion fatta per «attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, purché si tratti di attività che non pregiudicano la sicurezza, l’integrità psicofisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale». Il che purtroppo crea un’area grigia che accomuna la presenza televisiva a quella social, nonostante l’esposizione di certi profili sia esponenzialmente più pervasiva e perenne di quanto non fosse un’anonima comparsata da Bonolis nel 1995.

Evidentemente, queste norme non sono sufficienti a garantire una tutela adeguata dei baby influencer. Per questo, sarebbe auspicabile una legge ad hoc che regolamentasse il settore.

Sentenze contro i genitori in caso di sharenting

Nonostante la mancanza di legislazione specifica, va detto che qualsiasi condotta di esposizione mediatica dei figli minorenni da parte dei genitori può essere sanzionata o valutata dal giudice ai fini dell’affidamento in caso di separazione.

Il caso più noto è quello della coppia Ferragni-Fedez, che a seguito della separazione ha deciso di smettere di mostrare i figli sui social: nel caso di coppie separate infatti, un genitore non può pubblicare online le foto del figlio senza il consenso dell’altro.

Le prime sentenze in fatto di sharenting riguardano infatti la condivisione di materiale da parte di genitori separati. Ordinanze che paiono frutto del minimo comun denominatore del buon senso genitoriale ma che evidentemente non sono scontate. Ma ancora non esiste nessuna sentenza che regoli la pubblicazione di materiale quando i genitori sono d’accordo: sintomo ulteriore dell’urgenza di una legislazione ad hoc. Ma come funziona all’estero?

La tutela dei kidfluencer all’estero

La Francia nel 2020 ha promulgato una legge che regola i compensi e il diritto all’oblio dei baby influencer: gli orari di lavoro sono limitati e i genitori hanno l’obbligo di versare una parte dei guadagni in un fondo a cui i figli potranno accedere al compimento del sedicesimo anno di età. È anche previsto un diritto all’oblio: le piattaforme sono obbligate a cancellare i contenuti postati dai genitori, se i figli lo richiedono.

Claire, kidfluencer minorenne il cui nome è stato cambiato per proteggerne la privacy, dice che “Non è giusto che il mio lavoro debba sostenere tutti. Cerco di non essere risentita, ma in un certo senso lo sono. Una volta dissi a mio padre che non volevo più fare video su YouTube e lui mi rispose che avremmo dovuto lasciare la nostra casa e che loro [i suoi genitori] sarebbero dovuti tornare al lavoro, senza più soldi per le ‘cose ​​belle’.”

In U.S.A., alcuni stati stanno provando ad uniformare la legislazione del lavoro dei kidfluencer con quella dei giovani attori, facendo in modo che il 15% dei guadagni venga versato in un fondo a cui i bambini possano accedere una volta maggiorenni.

In conclusione

Sarah di Mum.uncharted, un account che cerca di sensibilizzare i genitori sui temi dello sharenting e del baby influencing nota come “sembri quasi che sfruttare i propri figli sia diventata un’opportunità di carriera”.

E nonostante ci sia una grossa differenza tra chi pubblica candidamente le foto dei propri figli (sharenting) e chi ci guadagna migliaia di euro (baby influencers), pubblicare le immagini dei figli sin da piccoli non solo agevola crimini digitali come il doxing, il cyberstalking, i furti d’identità, le truffe online o ancor peggio la pedopornografia, ma trasmette ai nostri figli il concetto che sia lecito pubblicare immagini e video senza il consenso altrui.

E il costo di postare i proprio figli online per tornaconto personale (in termini d’autostima o economici) potrebbe far perdere la loro fiducia o peggio la loro sicurezza.

A nostro avviso il tema va affrontato su tre fronti:

Educazione digitale delle famiglie

Non siamo più negli anni zero, è inaccettabile che oggi un genitore non sia consapevole dei rischi della sovraesposizione mediatica dei minori.

Legislazione ad hoc

Servono norme dedicate all’ecosistema digitale: nel 2024 non possiamo continuare a considerare Leone Ferragni alla stregua di un ospite dello Zecchino D’Oro o dei testimonial stagionali della Kinder. Urge anche l’obbligo per i genitori di istituire un fondo con i guadagni dei figli, a cui possano accedere solo loro.

Le piattaforme e le aziende dovrebbero essere obbligate a regolarsi 

Ad esempio smettendo di monetizzare i contenuti che coinvolgono bambini (Youtube) o non utilizzare minori come testimonial (aziende).

Cosa dice lo scenario dello sharenting e dei baby influencer su noi spettatori?

“Cos’è questa novità dei bimbi di spalle? Se non li volete far vedere, non li fotografate e basta”, scrive una ragazza su Instagram. “I bambini li abbiamo cresciuti e adesso non ce li fai vedere più?”, si legge in un altro commento. E ancora: “Ma il motivo di non mostrare più il viso dei tuoi figli, dopo che l’hai fatto letteralmente da quando sono nati?”. Sono decine i commenti di questo tenore sotto ai post con le foto della festa di compleanno di Leone Ferragni, riporta La Stampa.

@mom.uncharted If the account solely, or primarily features a child and would not be successful without regularly featuring that child- it’s child exploitation #socialmedia #fyp #familyvloggers #familyvlog #influencers #awareness #privacy #childsafety #onlinesafety #facts #kidsarenotcontent #parents #parenting #parentsoftiktok ♬ original sound – mom.uncharted

Ma da quando in qua è diventato normale spiare giorno per giorno la vita dei figli degli altri? Guardare minori sconosciuti sgambettare mezzi nudi nei giardini altrui? Conoscere nome, data di nascita, scuola frequentata e parchi giochi di bambini non nostri?

Urge un grosso esame di coscienza collettivo, anche da chi non posterebbe mai una foto del figlio online, manco con l’emoji incollata sulla faccia, ma che segue i Ferragnez perché “che buffa vittoria quando gioca con papà”. Come dice l’ex kidfluencer McCarty “Gli adulti sarebbero risentiti se qualcuno rivelasse i loro fatti personali online per farci dei soldi, quindi non vedo perché non capiscono che lo siamo anche noi.”

Per approfondire:

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