In occasione della Settimana Europea della Mobilità Sostenibile, abbiamo fatto una chiacchierata con Matteo Dondé, architetto esperto in pianificazione urbana, mobilità ciclistica, moderazione del traffico e riqualificazione degli spazi pubblici.
Siccome noi crediamo fermamente nel sogno che anche le città italiane diventino a misura di persona, chi meglio di lui può aiutarci a visualizzare una Milano, Firenze, Torino più vivibili? Esattamente come vediamo nel resto d’Europa? Abbiamo quindi chiesto a Dondé – che da diversi anni è il nostro faro – di individuare per noi i temi chiave per un cambiamento possibile in termini di mobilità attiva, per avvicinarci a quelle città e cittadine europee a misura di persona, di ambiente e di animali.
Ci siamo ispirate alle “Sei lezioni americane” di Italo Calvino, che individuavano le qualità essenziali per la narrativa del futuro, quindi gli abbiamo chiesto:
Come si costruisce una città del futuro?
Ed ecco secondo Matteo Dondé, i punti cardine della città delle persone:
1. Sicurezza
La sicurezza è un elemento fondamentale se vogliamo cambiare il modo di spostarsi in città. Gli studi dimostrano che il maggiore disincentivo a spostarsi a piedi e in bicicletta è il pericolo percepito.
E ce n’è motivo! L’Italia è l’unico paese in Europa dove i morti in strada aumentano ogni anno. Abbiamo circa 53 morti all’anno per milione di abitanti. In Gran Bretagna, Germania e Spagna ne hanno la metà. La Gran Bretagna ha il nostro stesso numero di abitanti ma da loro il 50% dei bambini vanno a scuola da soli, mentre da noi quasi nessuno. Solo nel 2023 ne sono morti 40 sulle nostre strade.
La violenza stradale è la prima causa di morte dei giovani sotto i 29 anni!
Non abbiamo mai fatto un passo avanti: culturalmente ci siamo fermati al modello autocentrico degli anni ’60. Le città italiane hanno il record di auto per abitante e il record di ore passate nel traffico.
Quasi il 60% dei tragitti in automobile nelle città italiane sono inferiori ai 5km. Ed è un dato riconducibile all’insicurezza stradale.
Ma la percezione che l’auto sia più sicura è un’illusione. Anche se per la stampa sembra che muoiano solo pedoni e ciclisti, le vittime della strada sono per la maggior parte automobilisti.
E per tornare ai ragazzi: uno studio danese ha analizzato le abitudini di 15mila studenti tra 5 e 19 anni: chi si sposta va a scuola a piedi o in bici dimostra una maggiore capacità di apprendimento e autonomia rispetto a chi che viene accompagnato in macchina.
In Gran Bretagna e in Olanda c’è un interessante dibattito sui diritti dei bambini a circolare in sicurezza nelle strade, dove hanno il diritto di spostarsi anche distrattamente. Da quarant’anni si spiega ai bambini come spostarsi nel traffico, chiedendo loro di assumersi la responsabilità della sicurezza. Perché invece non insegnare a bambini e genitori «come contrastare e ridurre il pericolo stradale?»
Il modello autocentrico non solo non è dalla parte dei più fragili, ma li colpevolizza.
2. Spazio pubblico
Nella gran parte delle strade italiane le auto sono estremamente arroganti, occupando l’80% della strada (ogni auto parcheggiata occupa 10mq) e lasciando solo il 20% per tutto il resto.
Il vero cambiamento che sta avvenendo in Europa in termini di ripensamento della città e dello spazio pubblico è aver capito che la strada non può essere solo un asse di spostamento e parcheggio: deve tornare ad avere il ruolo per cui è nata, luogo d’incontro e di socializzazione. La strada è di tutti e tutte, è spazio pubblico, politico, di vita, di commercio!
L’arroganza dell’auto ha impoverito le nostre città. Ha ridotto la porzione di strada che può essere vissuta e occupata dalle persone, ed è questo che genera quel senso di insicurezza. Perché è il presidio della strada da parte delle persone che crea il senso di sicurezza:
Più una strada torna alle persone, meno veloci andranno le auto.
Cambiare modello partendo dalla trasformazione dello spazio pubblico e dalla sicurezza stradale vuol dire avere città più vivibili.
3. Umanizzare la velocità
Moderare la velocità è fondamentale per la sicurezza stradale e per cambiare l’esperienza delle nostre città.
Il primo quartiere a 30km/h risale al 1969 in Olanda. Da quel momento, ovunque venga implementato questo limite le conseguenze sono:
- l’aumento della modalità pedonale
- l’aumento dell’uso della bicicletta
- l’aumento dell’uso del trasporto pubblico
- l’aumento della qualità dello spazio pubblico
- la riduzione dell’uso dell’auto
Vincono tutti: più gente si muove a piedi e in bici, più si riduce il traffico e si avvantaggia anche chi deve proprio utilizzare l’automobile. Non a caso gli automobilisti più felici d’Europa sono gli olandesi: l’auto si usa poco ma in maniera efficiente.
In Italia spesso incolpiamo il trasporto pubblico (giudicato scarso) del nostro uso smodato dell’auto, ma la verità è che i mezzi subiscono il traffico delle auto. Meno auto significa un trasporto pubblico più fluido e efficiente.
La velocità non si riduce con i divieti ma riducendo lo spazio dedicato alle auto. Strade più strette invitano ad andare più piano e permettono di guadagnare spazio per altre attività come spostarsi a piedi e in bici, con passeggini o carrozzine, sedersi sulle panchine sotto gli alberi, al fresco, avere aree gioco per bambini… La strada dev’essere delle persone e non delle automobili, la strada dev’essere di tutte e di tutti.
4. Shared space
Qui uso il termine in inglese perché è un concetto che non esiste nella cultura politica e tecnica italiana. Mentre in tutte le grandi città europee la strada sta diventando sempre più condivisa, in Italia siamo fermi alla logica della separazione: sovrappassi e sottopassi pedonali per non disturbare il traffico automobilistico, piste ciclabili separate, ecc.
Ma la logica delle infrastrutture è fallimentare: da sole le piste ciclabili non aumentano l’uso della bicicletta, bisogna ripensare la strada e rimettere al centro le persone.
Già 20 anni fa si parlava di passare dalla separazione alla condivisione della strada. La città del futuro deve basarsi sulla condivisione, ed è la riduzione di velocità che ci consentirà questo cambiamento. L’Olanda ha cambiato approccio, sta superando l’idea delle piste ciclabili e cambiando il colore dell’asfalto: rosso per le strade a 30 km/h e grigio per le poche che rimangono a 50 km/h.
Berlino ha quartieri residenziali dove non ci sono strisce pedonali perché il pedone può attraversare dove vuole, ed è l’automobilista che deve fare attenzione.
5. Persone
Le persone devono tornare a vivere lo spazio pubblico.
È la differenza che gli anglofoni fanno tra living street e driving street: l’uso primario della strada ne determina le regole e i limiti. Ad esempio a Barcellona hanno tre categorie di strade, strada principale, strada secondaria e strada verde (greenway urbana).
Sulle strade principali la capacità è stata dimezzata da quattro a due corsie per le auto (con limite a 50 km/h), una preferenziale per i bus e una pista ciclabile.
Nelle strade secondarie, diminuisce lo spazio per la circolazione, che scende a 30 km/h, e si dà prevalenza alla sosta.
Poi ci sono le cosiddette strade verdi, con limite di 10 km/h. Sono strade ciclopedonali dove prevale il verde e la qualità dello spazio pubblico, con panchine e nuovi luoghi di socializzazione.
La Spagna ha dimostrato che si può fare. Mentre in Italia cambiare è ancora più difficile in assenza di un dibattito pubblico serio e scientifico, e non basato sulle opinioni come dimostrano purtroppo le nuove modifiche al Codice della Strada, e ad una politica sia di destra che di sinistra che non ha mai avuto il coraggio di affrontarlo veramente, il cambiamento.
6. Verde pubblico
Aumentarlo è molto semplice, basta ridurre lo spazio dell’automobile.
Il verde pubblico è l’elemento chiave per il controllo delle ondate di caldo e delle cosiddette isole di calore cittadine. Purtroppo Piazza San Babila e la futura Piazza Cordusio sono la dimostrazione che la cultura tecnica non ha imparato niente e che siamo fermi a trent’anni fa. Tutte le ricerche dimostrano che la temperatura dell’asfalto e delle case si riducono con la presenza di alberatura in carreggiata. Le piante incidono sulla qualità ambientale e quella dell’aria.
La direzione in cui bisogna andare è quella della depavimentazione e della riforestazione. Immaginiamo cosa sarebbe Milano se tutte le aree dismesse e gli scali ferroviari fossero diventati parchi pubblici?
A Berlino nel 2010 l’aeroporto di Tempelhof fu trasformato nel più grande parco pubblico cittadino, circa 300 ettari, non in un quartiere residenziale.
La verità è che questa città deve iniziare a confrontarsi con il tema della speculazione. Se continuiamo a costruire senza fornire servizi, negozi di quartiere e aree verdi pubbliche, il cambiamento non ci sarà mai.
Finché manca una riflessione sulla città del futuro, è inutile riempirsi la bocca di parole come resilienza e città dei 15 minuti.
Cosa manca a Milano e all’Italia per muoversi lungo questi assi?
Politicamente si fanno discorsi pieni di buoni propositi ma poi si continua a seguire il vecchio modello. È arrivato il momento di ripensare le città italiane, è ora di scardinare il modello autocentrico per la salute e il benessere di tutte e tutti.
Gli strumenti, i dati e gli specialisti li abbiamo, manca il dibattito pubblico.
Coinvolgere i quartieri e i cittadini è fondamentale. Se si arriva sui territori chiedendo invece che imponendo, poi il cambiamento parte dal basso ed è li che si riesce a fare la vera differenza.