Dopo aver provato il lavoro remoto, non tutti sono così entusiasti di tornare in azienda. Le fila dei nomadi digitali si stanno ingrossando. Qualche giorno fa ha fatto notizia la lettera dei dipendenti Apple al CEO Tim Cook che chiedono di poter scegliere se tornare in ufficio e pretendono informazioni sulla differenza di impatto ambientale tra il lavoro in remoto e in ufficio.
In Italia l’argomento è abbastanza polarizzato. Se per alcuni (tendenzialmente chi ha famiglia e figli) lavorare da casa in pandemia si è rivelato una bomba ad orologeria per la salute mentale, per altri (tendenzialmente chi non ha famiglia) è stata una boccata d’aria fresca. Per questi ultimi si è finalmente aperta la possibilità di diventare nomadi digitali, un’opzione fino al 2019 ad appannaggio esclusivo di freelance e solopreneurs.
Ma chi sono i nomadi digitali?
Un nomade digitale è un freelance, un imprenditore – e da poco anche uno smart worker – che può svolgere la totalità del suo lavoro in remoto, e che sceglie di farlo soggiornando per brevi o lunghi periodi in luoghi particolarmente belli, affini alle sue passioni o addirittura viaggiando.
Inizialmente si trattava della frangia più ribelle della forza lavoro. Persone a cui andava così stretto lo schema capitalistico lavora-produci-consuma, noto in inglese come rat-race, da ribaltare completamente l’equazione rendendosi indipendenti da luoghi, abitudini e routine sfruttando le opportunità delle professioni digitali. Si trattava principalmente di programmatori, social media manager, copywriters, traduttori, grafici ma anche piccoli imprenditori la cui attività fosse gestibile completamente in remoto. Oggi a questa nicchia si aggiungono nuove professionalità, dai personal trainer online agli insegnanti in DAD passando da una gran varietà di lavoratori dipendenti in telelavoro.
I pro dell’essere nomadi digitali
Ripopolamento del sud e delle piccole comunità
Il nomadismo digitale è uno stile di vita che idealmente va a braccetto con il minimalismo, la sostenibilità ambientale e l’ottimo equilibrio tra lavoro e vita privata. Lavorare in remoto permette di tornare nella regione d’origine riavvicinandosi agli affetti e a territori più piacevoli e meno affollati rispetto a metropoli come Roma e Milano. Inoltre, spostarsi in comunità periferiche mantenendo uno stipendio da metropoli permette di aumentare notevolmente il proprio potere d’acquisto. Ne discute la community di @southworking, un progetto di advocacy volto a stimolare la possibilità di lavoro agile da dove si desidera e in particolare dal Sud e dalle aree interne.
Work/life balance
Al netto del Covid-19, il nomadismo digitale permette anche di spostarsi in Paesi dal clima particolarmente favorevole, con una natura imperante e magari un costo della vita più basso. Per anni il cliché del nomade digitale è stato quello del giovane web designer che vive a Bali e alterna sessioni di surf a qualche ora lavorata da un caffè hipster. Oppure che fa una vita comoda e poco costosa a Chiang Mai, nel verdeggiante nord della Thailandia, viaggiando spesso nella regione.
Ma è davvero tutto oro quel che luccica? Ecco anche qualche contro di questo stile di vita, dal punto di vista di una nomade digitale di vecchia data.
I contro del nomadismo digitale
Uscire dai confini nazionali non è così facile per tutti i lavoratori digitali (e non per colpa del Covid-19)
Come molti lavoratori dipendenti avranno notato a proprie spese, non sempre è possibile fare smart working all’estero. Al di là delle limitazioni agli spostamenti imposti dal Covid-19, il principale limite è quello assicurativo. La maggior parte delle aziende italiane non sono infatti ancora pronte per gestire l’eventualità in cui un loro dipendente milanese si ammali a Fuerteventura. Come esce l’Inail a verificare la malattia? Chi paga?
La fibra ottica non è una realtà ovunque. A volte non lo è neanche il 3g.
In molti luoghi, particolarmente se molto belli dal punto di vista naturalistico ma piuttosto remoti da quello geografico, la connessione è scarsa. Parliamoci chiaro: per lavorare a ritmi milanesi la connessione è scarsa ovunque al di fuori dei grossi centri (e degli aeroporti).
Incontrare persone straordinarie è facile, non lo è lasciarle andare poco dopo
Vivere da nomadi digitali comporta una componente non trascurabile di instabilità emotiva e abitativa. Si cambia casa, coinquilini e ad amici ad un ritmo decisamente più alto di chi ha uno stile di vita sedentario. Se stringere amicizia o incontrare nuovi flirt è estremamente più facile in un ambiente in cui tutti hanno pochi legami e molto tempo libero, è altrettanto facile confrontarsi con improvvise e dolorose separazioni. Uno stile di vita sicuramente divertente per gli inquieti, gli iperattivi e i single in odor di primavera, molto meno piacevole per chi ha bisogno di stabilità.
La sanità all’estero è cara
Quando si è in viaggio per lunghi periodi è facile trascurare la propria salute o rimandare controlli medici perché tutto diventa burocraticamente ed economicamente più impegnativo. Come per tutti i viaggi, è estremamente raccomandabile avere un’assicurazione sanitaria privata. Il prezzo varia a seconda dei Paesi, ma non è mai economico. Inoltre, le assicurazioni coprono solo quando la spesa medica supera i 70/100€. È facile intuire come a queste condizioni i controlli routinari vengano facilmente posticipati.
Non basta chiedersi cosa può offrire un Paese ai nomadi digitali, serve anche chiedersi cosa possono offrire i nomadi digitali a quel Paese
Quando si sceglie di andare a vivere per un periodo dall’altra parte del mondo, magari in un paese in via di sviluppo, è inevitabile porsi presto o tardi dei dilemmi etici. Quanto è etico fare una vita che in Occidente sarebbe estremamente al di sopra delle nostre possibilità in un paese in cui la maggioranza degli abitanti sopravvive attorno alla soglia di povertà? Se abbiamo scelto di non spostare la nostra residenza fiscale e continuare a pagare le tasse in Italia, come possiamo contribuire alla comunità che ci ospita? Le soluzioni ci sono, ad esempio scegliere fornitori di beni e servizi (affitto, internet, cibo, vestiti) il più local possibile. Offrire le proprie competenze anche a business locali e non solo a committenti esteri. Partecipare a progetti solidali locali o di microcredito. Fare volontariato.
Il nomadismo digitale nella sua forma più radicale di sicuro non fa per tutti, ma c’è da augurarsi che con la nuova flessibilità forzata introdotta dalla pandemia, sempre più lavoratori dipendenti possano usufruire di maggiori forme di libertà lavorativa. Così come sarebbe augurabile che i lavoratori autonomi godessero di qualche diritto in più.