Il Natale è alle spalle e prima di lui abbiamo scansato (o cavalcato, per chi veste i panni di marketer) anche il Black Friday: tra i maggiori catalizzatori di consumi nel nostro Paese e nel mondo. È tuttavia probabile che nella febbre dell’offerta o dell’ultimo regalo, si sia lasciata una scia dati sensibili ai brand che ci hanno concesso uno sconto in cambio del nostro indirizzo email.
E ora che abbiamo le feste alle spalle: quante newsletter riceviamo quotidianamente? Quante di queste leggiamo, scorriamo o cestiniamo direttamente?
Ci sono quelle dei brand che apriamo al bisogno; quelle d’informazione, a formare una rassegna stampa personalizzata; quelle di cultura, tempo libero, spettacoli e sport. Quelle delle associazioni, quelle letterarie, quelle tecniche e per addetti ai lavori e chi più ne ha più ne metta. Facilmente, nella nostra casella diventano tante (qualche mese fa avevamo raccolto qui le nostre newsletter preferite!), a volte troppe.
Ma non tutte le newsletter sono uguali! Nel 2024, Antonio Bellu, Direttore Creativo specializzato in email marketing e autore di Let Me Tell It, newsletter da 8.000 iscritti che parla di marketing e impresa, ha condotto uno studio sul panorama delle newsletter in Italia, evidenziando come ci siano ancora tanti spazi di crescita in un ecosistema ancora piuttosto circoscritto paragonato a quello spagnolo o francese.
In attesa di vedere cos’avrà in serbo il 2025 per le newsletter, abbiamo chiamato Antonio Bellu per fargli qualche domanda sullo stato e il futuro delle Newsletter in Italia. Ecco cosa ci ha raccontato.
Nell’articolo per Domani di Vincenzo Marino (gennaio 2024) si parla di fase di stanca delle newsletter e difficoltà a monetizzare,
secondo te la subscription fatigue esiste anche per le newsletter?
Parto subito con una distinzione doverosa: la subscription fatigue è reale, ma lo è pure la content fatigue. È innegabile che Substack abbia portato ad un boom – per quanto modesto in Italia – di nuove newsletter, nuovi autori, e nuovi contenuti da consumare. Ma non è un caso isolato: la stessa infobesity è esplosa anche altrove, dai social network alle piattaforme video come YouTube.
Credo che, alla fine, l’unica discriminante sia sempre la qualità. Se riesci davvero a incarnare quella niche of one – quel contenuto unico, che solo tu sei in grado di offrire – e se riesci a raggiungere chi è davvero in sintonia con ciò che proponi, allora la subscription fatigue diventa una questione del tutto relativa, quasi irrilevante.
Substack ha un problema con i neonazisti. È un problema sentito anche in Italia? Mi spiego, abbiamo un tema di contenuti problematici nell’ecosistema italiano delle newsletter? E se qualcuno volesse cercare un alternativa editoriale a Substack, cosa suggeriresti?
Difficile determinare se il rimbombo dagli States abbia davvero trovato terreno fertile anche qui in Italia, ma, per quel che ho potuto osservare, non parlerei di una vera e propria diaspora. Substack, a mio avviso, è una piattaforma tutto sommato neutra, un luogo molto diverso, per dire, da X, che invece si è apertamente allineato con determinate narrazioni.
In ogni caso, per chi avesse qualche scrupolo o sensibilità al riguardo, le alternative non mancano di certo. Ci sono opzioni interessanti, anche gratuite, per gestire una newsletter editoriale: Beehiiv, Kit (la versione 2.0 di ConvertKit), Buttondown, Steady o Ghost, giusto per citarne qualcuna.
In ambito commerciale invece: Mailerlite o Mailchimp?
Se dovessi iniziare da zero probabilmente partirei con una soluzione open source ma, se cercassi una soluzione semplice e comunque versatile non disdegnerei Mailerlite, Brevo o Flodesk. Mailchimp è potente, certo, ma complessità e costi ingiustificati per il 90% dei progetti.
Monetizzare le newsletter: funziona meglio se sei un autore e inizi a vendere qualcosa (offrendo la tua newsletter in abbonamento) o se sei un brand e inizi a produrre un contenuto editoriale?
In Italia, le newsletter a pagamento che davvero funzionano sono poche. Mi vengono in mente quelle di Federica Salto, anche se ormai è ferma da qualche mese, o Selvaggia Lucarelli, che riesce a fare numeri impressionanti per il mercato italiano. Probabilmente anche Francesco Oggiano potrebbe andare alla grande con un modello a pagamento. E il motivo è semplice: sono volti già noti, creator che hanno costruito una base solida su altre piattaforme, e che offrono contenuti esclusivi nelle loro newsletter. Ma, soprattutto, mantengono quel tono di voce unico, quel punto di vista che li rende riconoscibili e, quindi, seguitissimi.
Se invece sei un brand, la newsletter non è più un’opzione: è proprio un dovere. Nonostante TikTok, Youtube o Instagram continuino a rubare la scena, la newsletter rimane il mezzo con il ROI più alto. È come avere un filo diretto con chi davvero ti sceglie, senza algoritmi di mezzo. Un’esperienza che nessun social potrà mai replicare davvero (fino ad oggi).
Parliamo del tuo progetto Newsletter Italiane. Da dov’è nata l’idea di mettere in contatto brand e autori per il beneficio comune?
Credo sia evidente quale sia la forza delle newsletter editoriali: il punto di vista dell’autore. È quel sigillo di autorevolezza che fa tutta la differenza del mondo. Se l’autore consiglia qualcosa, quel qualcosa guadagna immediatamente valore. In un mondo così saturo di informazioni, questo tipo di curatela qualificata è moneta rara. Da qui la mia idea di fare intermediazione pubblicitaria tra aziende e gli autori più conosciuti (o anche quelli emergenti o di nicchia).
C’è ancora una certa resistenza, soprattutto da parte di brand più piccoli a scommettere sulle newsletter editoriali o autoriali. Nel mio caso, lavoro principalmente con aziende di una certa dimensione, quelle che possono permettersi di testare vari canali senza troppi timori. E quando tornano, magari più volte nello stesso anno, è chiaro come qualcosa di buono lo abbiano ottenuto.
Quasi 5 anni di Let Me Tell It, cosa puoi dirci della sua crescita?
Siamo arrivati a quasi 8.000 iscritti, e per uno come me, essenzialmente un Signor Nessuno, è un traguardo che non posso non apprezzare. La crescita è partita in modo semplice: un po’ di programmi di referral, un pizzico di SEO e tanto, tantissimo passaparola. Poi, con il passaggio a Substack, il network interno ha dato una spinta ulteriore notevole. Ora è una crescita lenta ma che si alimenta quasi da sola, e che resta una piccola grande soddisfazione personale.
La piccola guida che ho scritto qualche tempo fa è sempre attuale. Tra tutti i suggerimenti qui presenti quelli su cui non mi stancherò mai di porre particolare attenzione sono tre:
- la perseveranza, perché bisogna costruire un’abitudine di lettura nei tuoi iscritti, e per questo serve tempo
- scrivi quanto vuoi ma non troppo, il segreto è dire il massimo delle cose con il minimo di parole
- scrivere di cose che conosci e che ti appassionano: di quale argomento potresti leggere e scrivere per ore ed ore?
Per chi volesse approfondire, offro un servizio di consulenza sull’utilizzo della Newsletter come strumento di marketing efficace.
Abbiamo stilato una lista con le NL preferite di Sottosopra, hai qualche chicca da aggiungere?
Ce ne sarebbero una marea. Per chi fa marketing è imprescindibile il punto di vista ironico e tagliente di Gianluca Diegoli e della sua Letterina! E adoro pure le riflessioni di Martino Pietropoli. Per chi è di Milano segnalo anche la newsletter Colonne, de Il Post, che tiene aggiornati su tutto quello che accade in città.
Dimmi il giorno della settimana e ti dirò chi sei! La nostra teoria è che, a seconda del settore di competenza, ci sono giorni della settimana migliori per inviare le newsletter. Ad esempio il lunedì per quelle tecniche e il venerdi per quelle editoriali e culturali da leggere con calma nel weekend. Cosa ne pensi?
Dicono che il martedì e il mercoledì siano i giorni migliori, almeno stando alle statistiche. Io, però, resto fedele al venerdì: è una sorta di appuntamento ormai consolidato con i miei lettori, e cambiarlo mi sembrerebbe quasi tradire una bella abitudine.
Ma, per essere onesti, torno a ribadire ciò che ho già detto:
se una newsletter ha davvero qualcosa di interessante da dire, il giorno in cui lo fa conta poco.
Le newsletter hanno una coda lunga, lunghissima, e lo vedo chiaramente: alcune delle mie vengono aperte e lette anche 8 o 9 giorni dopo la pubblicazione. Alla fine, è la qualità ciò che fa la differenza, non il calendario.
Cosa ci riserva il futuro?
Dalla chiacchierata con Bellu e dalle interviste agli autori di Marino, ci sembra chiaro che a tendere sarà sempre più la qualità a fare la differenza, sia in termini di newsletter commerciali che autoriali. Il content marketing funziona se il brand riesce veramente ad offrire un valore aggiunto ai propri clienti, mentre la chiave per monetizzare, e quindi rendere sostenibile, un progetto editoriale personale andrà forse cercata sempre di più nella monetizzazione secondaria, ovvero inserendo adv di un’azienda in linea con la propria audience. Monitoreremo la situazione per voi, essendo tutte avide lettrici e produttrici di newsletter da prima che fosse cool. 🙂
Per approfondire: