Il mito del multitasking
Ah, il multitasking. Bandiera dell’iperproduttività milanese e necessità imposta da un carico di lavoro, amministrativo e personale che non conosce confini. Ce ne lamentiamo tutte e tutti da sempre, eppure la capacità di “fare una cosa alla volta” sembra eludere anche i più posati tra noi.
Quante schede aperte hai, in questo momento, nel browser su cui stai lavorando? Quante nell’altra finestra? Quante sul cellulare? Il tuo desktop è un’oasi di pace o compete con la tua scrivania in termini di caos visivo?
Il mio browser ha sempre una decina di schede aperte, alcune da giorni. Le mie caselle e-mail sono sempre visibili sul monitor piccolo, ma non rinuncio alle notifiche push su quello grande. I clienti e i fornitori mi contattano via mail, via Instagram, via Telegram e su WhatsApp (grazie a Dio i millennial raramente telefonano). Lavoro senza le distrazioni di un ufficio affollato, eppure sono continuamente distratta. Prendo in mano lo smartphone ogni volta che il backend di un sito ci mette troppo a caricare. Qualsiasi task intrapresa dopo le 12 verrà svolta ad intervalli di 3’ mentre cucino e poi pulisco. Uso la colazione e il pranzo per “fare una pausa su Internet” ma chiunque lavori con Internet e i Social Media sa che è una menzogna: si risponde ai DM di lavoro, si archiviano spunti, ci si perde in una spirale di scrolling infinito fatta d’ispirazione e d’ansia.
La membrana che separa lo svago dal lavoro è labilissima, particolarmente tra i lavoratori digitali. Questo perché gli strumenti che usiamo per lavoro (pc e cellulare) sono gli stessi che usiamo per le relazioni. Disconnetterci è durissima: «È come muoversi all’interno di un vortice, in uno stato continuo di attesa-allerta», spiega Maria Vallillo, psicoterapeuta di Serenis che segue diversi lavoratori che hanno sofferto di burnout digitale, intervistata da Francesco Oggiano nella sua newsletter di settore.
Nel mio caso, per niente peculiare, lavoro costantemente ma raramente concludo le task previste per quella giornata. Svolgere più di un’attività “lunga” (che richieda almeno 2h di lavoro) è impensabile: il resto del tempo è fagocitato da microtask su un ventaglio di progetti. Vivo con la sensazione costante che qualcuno mi stia tirando per la camicia richiedendo la mia attenzione immediata. A volte, mentre svolgo 3/4 task contemporaneamente, vado in tilt e fisso il monitor chiedendomi “cosa stavo facendo?” (Se stai pensando che a te succede quando apri il frigo, è perché apparentemente passiamo il 47% delle nostre giornate pensando a qualcosa di diverso rispetto a ciò che stiamo facendo).
Multitasking in psicologia
In un interessante articolo di State of Mind, rivista di settore delle scienze psicologiche, si legge che le prestazioni diminuiscono fino al 50% quando una persona si concentra su due attività mentali contemporaneamente e che le distrazioni riducono la capacità del cervello di filtrare le informazioni irrilevanti dalla memoria di lavoro. Si cita anche Eric Schmidt, ex CEO di Google, che qualche anno fa dichiarava: “Ogni due giorni, creiamo tante informazioni quante ne abbiamo create dagli albori della civiltà fino al 2003. Passo la maggior parte del mio tempo supponendo che il mondo non sia pronto per la rivoluzione tecnologica che avverrà presto”. Non v’è dubbio, Eric, non v’è dubbio!
Il mustitasking ha dei vantaggi effettivi?
La risposta breve è: no. Quella lunga è che il multitasking è un’illusione.
Anche se pensiamo di lavorare in multitasking, in realtà alterniamo task singole in rapida successione. Una dinamica che ci rende meno efficienti e affatica il cervello, generando un senso di esaurimento e disorientamento.
Quanti tipi di multitasking ci sono?
Parafrasando Anna Karenina: tutti i lavoratori felici si somigliano, ma ogni multitasker è infelice a modo suo, spiego:
- Multitasking sequenziale
Si riferisce al passaggio rapido da un compito all’altro, spesso senza completarne uno prima di iniziare il successivo. È comune in ambienti frenetici e comporta frequenti interruzioni. Esempio: alternare tra rispondere alle e-mail e partecipare a chiamate di lavoro.
- Multitasking parallelo
Comporta l’esecuzione simultanea di più compiti, che generalmente richiedono diverse risorse cognitive o fisiche. Esempio: parlare al telefono mentre si scrive un report.
- Multitasking integrato
Combinare due o più attività che si completano a vicenda e che non richiedono una concentrazione totale per essere eseguite. Esempio: ascoltare musica mentre si riempie un foglio excel.
- Multitasking reattivo
Si verifica quando una persona risponde a stimoli o richieste improvvise mentre sta svolgendo un’altra attività. Esempio: interrompere un lavoro per rispondere a una notifica sul telefono.
- Multitasking vari ed eventuali
C’è lo strumentale: usare Slack per tenere sott’occhio centomila progetti diversi. Quello cognitivo: cercare di fare i conti mentre si pianifica una strategia o tentare di generare idee a braccio davanti a un cliente scontento del nostro progress. E infine quello sociale: rispondere ai messaggi in chat mentre si è in riunione.
Perché il multitasking non funziona: gli effetti sul cervello
Il multitasking riduce la capacità di concentrazione e la memoria a breve termine, è energivoro e aumenta il rilascio di cortisolo e adrenalina. Questi alzano i livelli di stress, influenzando negativamente la salute mentale e fisica sul lungo termine.
Ma quindi come si smette di muoversi nel proprio habitat lavorativo come dei colibrì fatti di cocaina? Un primo step potrebbe effettivamente essere quello di smettere di usare la sostanza, squisitamente apprezzata nei più disparati ambienti lavorativi meneghini. Ma per tutti noi altri semplici drogati di cortisolo: ecco qualche consiglio.
Come migliorare la concentrazione: il single-tasking
Si dice single-tasking ma si intende fare “una roba a la volta”, completando ogni compito prima di passare al successivo. Pare la fiera dell’ovvio, ma non solo è supportato da studi neuroscientifici che dimostrano che il cervello umano è più efficiente e creativo quando può dedicarsi completamente a un compito solo, ma è anche difficilissimo da mettere in campo, nel nostro zeitgeist.
I benefici del single-tasking
- Abbassa i livelli di stress
Concentrarsi su un unico compito riduce la pressione mentale e il sovraccarico cognitivo. Questo aiuta a diminuire la produzione di cortisolo, disinnescando il circolo vizioso dello stress. - Il single-tasking favorisce la concentrazione
Dedicarsi a una sola attività consente al cervello di immergervisi completamente, entrando in uno stato di flusso ed eliminando le interruzioni. Questo migliora la qualità dell’attenzione e permette di lavorare in modo più profondo e significativo, aumentando la precisione e riducendo gli errori. Sul lungo periodo, migliora anche l’apprendimento e la capacità di trattenere informazioni. - Aumenta la creatività
Lo stato di flusso e la concentrazione appassionata che ne deriva è ideale per il pensiero creativo. Senza distrazioni, il cervello può esplorare idee e soluzioni innovative in modo più fluido, favorendo l’originalità e la risoluzione di problemi complessi. - Paradossalmente, il single-tasking aumenta la produttività
Completare un compito prima di iniziarne un altro elimina la perdita di tempo dovuta al cambio di contesto.
Consigli per implementare il single-tasking ed allontanare il burnout
1. Evita le distrazioni
Chiudi le caselle email, tieni il telefono in modalità non disturbare e mettilo in borsa. Già solo questo farà miracoli per la concentrazione. Se però il viziaccio di prendere in mano lo smartphone è difficile da sradicare, puoi provare con le maniere forti: disattivare FaceID. Lo so, radicale. Ma ti invito a controllare il report del “tempo di utilizzo” del tuo telefono e in particolar modo la voce pickups, quante volte prendi in mano il telefono in una giornata. La mia media è 170 volte al giorno, con un picco di 250 il giorno prima dell’evento lavorativo più importante dell’anno. Forse è ora di ammettere che la situa ci è scappata di mano.
2. Fai delle pause, ma non al cellulare o su internet.
Un esempio è la famosa tecnica del pomodoro: 25 minuti di lavoro intenso e senza distrazioni, 5 minuti di pausa. Sempre Oggiano a questo scopo consiglia Otto, un’estensione di Chrome che fa da timer e blocca pure i social durante le sessioni di lavoro.
3. Impegnarsi a mantenere l’agenda libera
La verità è che ci ostiniamo a infarcire le nostre agende come se le giornate fossero di 48h. Tenere dei blocchi liberi in agenda è un buon punto di partenza, ma la vera sfida è riuscire a mantenerli liberi! Sono lì per darci il tempo di fare le cose con calma, di bere un caffè tra un appuntamento e l’altro, non per essere riempiti di lavoro all’ultimo minuto. Vale la massima: Ciò che è importante è raramente urgente e ciò che è urgente raramente è importante.
4. Crea una Not-To-Do list
Avere le idee chiare su quali riunioni saltare, quali mail ignorare e quali inviti rifiutare può semplificare di molto la nostra vita. Vero è che tanti obblighi sono imposti dall’alto, ma molti ce li infliggiamo da soli. Penso agli aperitivi di lavoro ma anche a come le Partite Iva spesso si trasfigurino nel proprio peggior capo.
5. Programma su Calendar la giornata che sogni, non quella che «devi» fare
Così dice Simon Sinek, motivatore e consulente di marketing autore di diversi libri sui temi della comunicazione e della leadership:
Per concludere
Si dice che Ferdinando VII, assistito dal suo cortigiano prima di un incontro importante, si innervosisse perché questi lo vestiva con fretta e imperizia: “Vestimi lentamente, che ho fretta!”. Qualcun altro attribuisce la massima a Napoleone Bonaparte, a Carlo III o perfino al primo imperatore romano Ottavio Augusto. Quel che è certo è che fare quattro cose insieme, per giunta male, non è una moda recente. Ma l’impennata tecnologica degli ultimi 20 anni non ha sicuramente aiutato in questo senso.
Mio padre, un uomo che ha detestato gran parte della sua carriera lavorativa e dei suoi datori di lavoro, osserva la mia piccola attività, ritagliata su me stessa con amore e basata su relazioni lavorative sane, e sentenzia: “tu vivi male”. E ha ragione. Ma il problema è più ampio: quasi tutti viviamo male. E come tutti i problemi collettivi, richiederebbe una soluzione collettiva.
Hai voglia a spegnere le notifiche dell’iPhone, ma la verità è che la colpa del nostro burnout è raramente solo nostra. Quand’è l’ultima volta che ci siamo chiesti come stiamo? Dormiamo? Mangiamo bene? Siamo in salute? E dell’ambiente in cui lavoriamo: È sano? Possiamo contare su colleghi e colleghe? Siamo apprezzati e supportati nel nostro lavoro? Ci piace quello che facciamo? Riceviamo un compenso adeguato? La sovra-responsabilità dell’individuo maschera tutte le condizioni contestuali e sistemiche: quelle economiche, sociali, razziali, di lavoro, ambientali, di inquinamento. A volte la risposta è andare più piano, a volte è l’agitazione sindacale in azienda: a voi la scelta. E per la famiglia della Partita Iva: meglio un cliente in meno che un esaurimento in più.