Vi abbiamo parlato di Teresa Agovino qualche tempo fa in un articolo dedicato ai profili green da seguire su Instagram, ve la ricordate? Lei era quel sorriso con un mare di ricci attorno che è ormai una personalità nell’ambito del turismo sostenibile.
Dopo pochi giorni siamo entrate in contatto e Teresa ha dimostrato di avere quel quid decisamente sottosopra, tanto da farla sembrare una veterana del nostro gruppo.
Teresa Agovino è una giovane donna con due grandi doti: sensibilità e curiosità fuori dal comune. La sua vena sensibile è quella che le ha permesso di credere in un altro modo di fare turismo, più attento e rispettoso verso le tradizioni, i territori e le persone che li abitano. La curiosità è quell’ingrediente che le sta facendo scoprire il mondo “in punta dei piedi”, dice lei, e noi aggiungiamo rimanendo sempre in ascolto.
Il turismo è forse il settore che ha risentito maggiormente di questa crisi pandemica. Si parla di ripartenza ponendo molta attenzione a un turismo lento e sostenibile, ma cosa significa esattamente?
L’abbiamo chiesto a Teresa Agovino non solo perché è una consulente e divulgatrice di turismo sostenibile, ma perché dalla sua testimonianza arrivano sempre entusiasmo e positività.
E poi, vedrete, Teresa offre sempre esempi pratici per iniziare un po’ per volta a viaggiare con rispetto senza diventare improvvisamente degli asceti.
Per lei il turismo sostenibile ha quel senso di rispetto e di essere sempre ospite a casa di qualcun altro. L’importante non è raggiungere la perfezione ma fare qualche piccola cosa per modificare poco per volta il proprio modo di viaggiare. Veramente in un’ottica olistica di benessere sia interiore che esteriore.
Vi lasciamo alle parole di una viaggiatrice sostenibile, tutt’altro che bacchettona e mai ansiosa, che crede nei piccoli gesti da fare tutti insieme.
Chi è Teresa Agovino, da ingegnere a auditor fino a influencer.
La presentazione è sempre la parte più difficile. Io non amo i grandi titoli, allora racconto spesso questo aneddoto. Ero in Africa, in Tanzania, e stavo lavorando come ingegnere alla potabilizzazione delle acque in un villaggio remoto. Lì funziona che devi presentarti al capo villaggio con tutti i saluti istituzionali e poi ti devi presentare agli altri. E io ricordo di aver detto al mio traduttore, dì semplicemente che io sono una ragazza italiana e che li aiuterò a potabilizzare l’acqua. E lui mi rispose, no bisogna dire che sei un ingegnere ambientale, ma io non mi volevo presentare con distacco!
Al di là di questo mi piace definirmi come artigiana della sostenibilità, cucio ad hoc i vari progetti di sostenibilità, dall’ingegneria ambientale alla consulenza di turismo sostenibile. E poi mi mi occupo anche di divulgazione e sensibilizzazione sui social con questo format molto apprezzato del Green Corner, sono 60” di sostenibilità dove spiego in maniera semplice varie tematiche.
Sono riuscita a mettere in pratica diversi progetti in giro per il mondo a metà tra l’ingegneria ambientale e il turismo sostenibile, ad esempio gestione di rifiuti nelle periferie, potabilizzazione ed efficientamento energetico sempre in vista di iniziative di circuiti turistici. Infine come consulente certifico la sostenibilità nel turismo sostenibile per enti internazionali riconosciuti dalle Nazioni Unite, tecnicamente sono auditor di terza parte.
Si sta parlando tantissimo di sostenibilità, che è un parolone difficile da spiegare. Come spieghi tu il turismo sostenibile quando ti viene chiesto esattamente in cosa consiste?
Allora in maniera o un po’ più accademica dico sempre che si fonda su 3 pilastri: ambientale, sociale ed economico. E non solo ambientale, come spesso si pensa. Il turismo, soprattutto nei paesi a sud del mondo, incide tanto sulla componente sociale, quindi l’aspetto culturale, le tradizioni, l’identità di un popolo.
Noi fatichiamo a comprenderlo perché in Italia o in contesti globalizzati come quello europeo le differenze sono minime. Anche tra una città europea e l’altra ci sembra di stare nello stesso luogo. Invece muovendosi nel sud del mondo e passando ad esempio tra il Perù e l’Ecuador ti rendi conto del divario storico, culturale e tradizionale tra una popolazione indigena e l’altra.
Io cerco sempre di dare degli esempi pratici, come quello delle donne giraffa al confine tra il Myanmar e la Thailandia. La loro particolarità è che indossano pesanti anelli di ottone attorno al collo e sui polsi ma sono ormai diventate oggetto di mercificazione, un vero e proprio zoo umano. Hanno perso la loro identità e la libertà di togliere questi anelli perché il paese perderebbe un’importante attrazione turistica. Questo è un esempio per dire che questo tipo di turismo passa un messaggio: la tua identità culturale non è importante.
Ecco questo è uno dei tanti esempi per dire che oltre alle scelte ambientali e dei mezzi di trasporto c’è anche un aspetto molto importante che è quello sociale legato sia alla popolazione che agli animali. Pensate agli elefanti, ai safari, agli zoo.
Viaggiare sì ma con rispetto. Si può fare, insomma, anche e soprattutto dopo un anno così drammatico per il turismo?
Pensa che mi chiedono spesso come faccio a lavorare nell’ambito del turismo sostenibile che è una nicchia di un settore in netta difficoltà. Io lavoro proprio adesso perché è il momento giusto per preparare la ripartenza.
Alla fine la pandemia è stata ed è tuttora un acceleratore, sia per chi era in una fase di declino sia per chi è stato illuminato e ha fatto formazione, ha cambiato una serie di pratiche e strategie interne per partire con un nuovo passo.
Quali sono le cose più belle da scoprire per chi si approccia a un modo di viaggiare più sostenibile?
Sicuramente tutto quello che stimola i sensi, ad esempio impastare la farina per realizzare le tipiche orecchiette pugliesi è un modo per sentire il contatto con la terra. Oppure lasciarsi bendare e andare alla scoperta delle erbe selvatiche per poi preparare dei cocktail a base di erbe tipiche di un territorio.
E poi la lentezza! C’è questa atmosfera un po’ rarefatta che si respira nel viaggiare a piedi o in bicicletta a cui non siamo più abituati.
Un’altra cosa che mi piace tantissimo e suggerirei a un amico è fermarsi e guardare negli occhi le persone di una certa età, occhi che raccontano delle storie. Ecco questo in un turismo di massa si perde perché siamo un po’ tutti allineati sulle stesse cose.
Quali sono le prime tre cose da non fare quando si viaggia?
- La prima cosa che sconsiglio è di fare una lista lunghissima di cose da vedere perché diventiamo ansiosi di vedere tutto e alla fine correndo ci perdiamo tanti dettagli.
- Sconsiglio anche di prenotare da casa le esperienze, mi rendo conto che questo dipende molto da quanto un viaggiatore si senta confident in un certo paese. Però prenotare la singola esperienza lasciandosi guidare dalla popolazione locale è un ottimo punto di partenza. A volte non riusciamo a capire quanto quell’esperienza sia etica o meno da un catalogo o su internet.
- Non riempire troppo la valigia. Partire sempre un po’ leggeri sia per un tema di emissioni in più, se viaggiamo in aereo ad esempio, ma anche perché possiamo comprare bellissimi prodotti realizzati dalla popolazione locale.
Secondo te quali sono i paesi più virtuosi in ambito di turismo sostenibile, chi potremmo prendere come esempio?
Tanti paesi si muovono in maniera eccelsa dal punto di vista della sostenibilità. Sicuramente Costa Rica è uno dei paesi veramente più virtuosi perché ha iniziato la valorizzazione della biodiversità ormai 30 anni fa. La maggior parte delle aree parco sono protette, tutte le guide escursionistiche, biologi marini ed esperti sono riconosciuti dal Paese e sono formati per valorizzare il territorio. Altro ottimo esempio è il Bhutan, che gode di un sistema molto particolare e può farlo perché è un paese piccolo. Accettano un certo numero di turisti al mese, non c’è il turismo spinto. Tutti i turisti devono essere accompagnati da guide locali e questo fa in modo che la popolazione possa beneficiare in maniera equa del turismo.
Hai viaggiato moltissimo, se dovessi citare un’esperienza di un paese che ti ha segnata particolarmente?
Ti direi Perù, nella Foresta Amazzonica con la popolazione indigena dei Waorani che è l’ultima popolazione compattata. Per una fortuna veramente sfacciata sono capitata nel loro villaggio durante una riunione che avviene ogni 4 anni per eleggere il rappresentante della comunità. Per cui ho vissuto un’esperienza che nessun turista riesce a vivere.
Mi trovavo con uno degli esponenti del Movimento indigeno ed era il periodo in cui stavano protestando contro l’innalzamento dei prezzi del petrolio. Mi stavano raccontando quanto le compagnie petrolifere avessero devastato il loro territorio e mi invitarono a casa loro. Ho vissuto tre giorni straordinari in una comunità fortemente indigena dove il tempo si sembrava essersi fermato 50/70 anni fa. Eppure anche lì vedevi dei fenomeni di occidentalizzazione, alcune donne erano vestite con magliette Adidas o Nike e altre erano scalze con i classici abiti indigeni.
Ho fatto un’intervista emozionante a un’esponente indigena, era tutto buio, le uniche luci erano i fanali di un’auto e lei mi raccontava con grande pathos quanto fosse legata alla sua terra.
Quella esperienza è stata bellissima anche perché ho toccato con mano l’impatto delle compagnie petrolifere e di come generano effetti negativi.
I tuoi genitori cosa ti dicono ogni volta che parti?
Ormai si sono abituati (ride) quindi si limitano a dirmi “ogni tanto chiamaci”. Mi conoscono e sanno che non sarei stata mai la classica persona con un lavoro d’ufficio. Devo dire che mia madre si preoccupa poco, questo è un aspetto importante perché non vivo l’ansia del viaggio e la paura di cosa mi può succedere.
Le relazioni con le altre persone a me care sono un po’ più difficili perché stando fuori casa per tanto tempo sono rapporti da ricucire ogni qualvolta si rientra. Però io penso che le ali non si debbano mai tarpare, se no poi si è infelici e non si riesce a donare gioia, energia e positività agli altri.