Cosa sono i Dark Pattern?

29 Settembre 2022
Posted in Digital
29 Settembre 2022 Sottosopra Comunicazione

Cosa sono i Dark Pattern?

e perché servirebbe un codice etico dei web designers

Quand’è l’ultima volta che avete prenotato un volo low cost? Chi ha potuto quest’estate ha recuperato le abitudini vacanziere pre-Covid e ripreso timidamente (visti i prezzi) a viaggiare. Il che ha significato tornare a interfacciarsi con i siti di Ryan Air e affini.

A noi è capitato e ci siamo chieste: ma è sempre stato così difficile districarsi tra assicurazioni inutili, hotel costosi, macchine a noleggio dai prezzi gonfiati e sedili a pagamento apparentemente obbligatori? La risposta è sì, eravamo semplicemente fuori allenamento.

Questo succede perché i siti delle compagnie aeree (low cost e non), di piccoli e grandi e-commerce, delle piattaforme che offrono sottoscrizioni online e, in generale, della gran parte delle Big Tech come Meta, Microsoft ed Apple utilizzano interazioni fuorvianti e anti-intuitive: i Dark Pattern.

Cosa sono i Dark Pattern?

I Dark Pattern sono interfacce UX/UI ingannevoli il cui scopo è spingere gli utenti a compiere azioni che non avrebbero altrimenti compiuto, come acquistare prodotti e servizi extra o sottoscrivere un abbonamento. Il termine è stato coniato dall’UX Designer Harry Brignull nel 2010, in un periodo storico assimilabile al Far West degli e-commerce.

I Dark Pattern sfruttano i bias cognitivi e le scorciatoie del pensiero umano per aggirare la volontà degli utenti in modo semi automatico, spesso senza che questi se ne accorgano. E se il malcapitato a un certo punto nota di aver erroneamente sottoscritto un abbonamento ad Amazon Prime, uscirne è esponenzialmente più difficile (esperienza personale: bisogna fare un lungo giro nei meandri di Mordor e riuscire a parlare al telefono con un operatore). Nello specifico questo tipo di Dark Pattern si chiama Roach Motel (un posto in cui è facile entrare ma difficilissimo uscire), Brignull ne ha identificati altri 11, che enuncia sul suo sito.

Design al contrario

Questi design maliziosi ed elusivi sono sostanzialmente l’antitesi di quello che un designer di prodotto o di interfaccia dovrebbe fare, ovvero creare qualcosa di semplice, intuitivo, bello e centrato sui bisogni dell’utente. L’esperienza utente dei Dark Pattern è invece fastidiosa e complicata, disseminata di trappole cognitive che richiedono una soglia di attenzione estremamente alta durante la navigazione. Vien da sé che se queste trappole ci vengono poste in un momento in cui stiamo procedendo con il pilota automatico, cascarci è facile.

Pensate ad esempio a tutti quei servizi in abbonamento (giornali, piattaforme di intrattenimento, corsi di ginnastica, consegne gratuite degli e-commerce) che offrono una settimana gratuita previa indicazione della carta di credito. Si tratta di servizi che tendenzialmente ci verranno poi addebitati in maniera automatica alla scadenza del periodo di prova gratuita. Un passaggio che solitamente è indicato tanto piccolo quanto le controindicazioni nelle pubblicità dei farmaci antinfluenzali alla tv.

Altro esempio: tutti abbiamo fatto esperienza della ricerca di un hotel su Booking mentre il sito inizia a segnalarci con veemenza che il 70% delle strutture nell’area sono occupate, che i migliori hotel sono appena – ops, che sfortuna – andati sold out e che la struttura che stiamo monitorando ha solo 2 camere disponibili e una è appena stata prenotata.

O quando si noleggia una macchina online e ci si fa convincere a pre-pagare una Kasco per poi scoprire in fase di ritiro che l’assicurazione del sito di prenotazione non è veramente riconosciuta dall’operatore e che bisogna ripagarla, estremamente più salata, per poter usare l’auto.

Oppure quando tra un fenomeno estremo e l’altro sull’app di Meteo.it appaiono dei noiosi pop up senza il pulsante “chiudi”, che restano stampati sul nostro schermo per una decina di secondi prima che la X compaia (spesso piccola, ovunque tranne che nell’angolo in alto a destra e di un colore poco distinguibile).

Perché ci caschiamo?

Conoscere il proprio nemico è fondamentale, ma fondamentalmente, perché caschiamo in questo tipo di trappole stilistiche? Perché succede anche ai più scaltri, ai nativi digitali o chi come noi si occupa di design d’interfaccia per professione?

Ci caschiamo perché questi percorsi sfruttano il fatto che gli utenti scrollano rapidamente i siti internet, aspettandosi scorrevolezza e funzionalità. Una lettura diagonale che spesso ci trae in inganno. Siamo semplicemente pigri? No, il nostro cervello ottimizza i processi cognitivi e le decisioni da prendere operando secondo due sistemi di ragionamento: uno rapido, automatico e istintivo e uno più cosciente e razionale. Se stiamo compiendo un’azione che abbiamo compiuto molte volte prima (ad esempio navigare in un sito internet) il nostro cervello attiverà il sistema di ragionamento automatico, puntando a farci cliccare il più velocemente possibile per chiudere in fretta una task ripetitiva e noiosa come acquistare un volo low cost. Questo sistema si basa su bias cognitivi (o scorciatoie mentali) che il marketing ha imparato a sfruttare da decenni.

Non ultimo: i Dark Pattern vengono spesso inseriti quando l’utente è in già sovraccarico cognitivo: alla fine del percorso d’acquisto, in caratteri piccoli, usando doppie negazioni.

Perché nel 2022 i Dark Pattern sono ancora legali?

Per quanto volgari ed evidenti nei primi anni ’10 – ci ricordiamo tutti l’insistente spam di LinkedIn che ci inviava mail da parte dei nostri contatti invitandoci a iscriverci alla piattaforma? (Microsoft, fu poi sanzionata per 13 milioni di dollari) – i Dark Pattern odierni sono più che mai subdoli, ubiqui e difficili da condannare. Si pensi ad esempio al Dark Pattern che sta alla base di molte fake news, quelle che vengono rilanciate su Facebook da fonti come “Il Giormale” o “VoxNews”, pericolosamente pseudo omonime di testate più serie.

Uno dei motivi per cui molti Dark Pattern passano inosservati è che le persone tendono ad incolpare la propria incompetenza (percepita) nei confronti della tecnologia, piuttosto che mettere in discussione la tecnologia stessa. Questo succede perché dai tempi dei primi esemplari di calcolatori, l’interazione umano-tecnologia si è sempre basata sul presupposto che l’errore è tendenzialmente umano: i computer non sbagliano.

Un esempio su tutti: vi è mai capitato di aprire Instagram, controllare le notifiche, chiudere l’app e notare che il bollino rosso è ancora lì? Eppure, riaprendo l’app ci rendiamo conto che non c’è nessuna nuova notifica. In queste situazioni tendiamo ad incolpare la connessione o il telefono, ma in realtà si tratta di un Dark Pattern intenzionale per farci riaprire l’app.

Quali possibili soluzioni?

Come spesso accade nel reame dell’Internet, gli usi e la tecnologia viaggiano a velocità siderale rispetto alla regolamentazione. Per questo motivo potrebbe essere un’opzione ragionare su un codice etico dei designer. Una sorta di giuramento di Ippocrate in versione digitale, che ci obblighi a produrre design giusti ed etici, per offrire un’esperienza utente onesta e funzionale pur operando in funzione degli obiettivi business del sito. La direzione in cui muoversi è quella della tutela della privacy, del rimettere il controllo in mano agli utenti e del design trasparente.

Il design è il linguaggio con cui interpretiamo internet, dev’essere comprensibile e trasparente per tutti.

Per saperne di più:

Tutti gli esempi di quando le newsletter ci insultano per non volerci iscrivere

Library partecipativa di dark pattern

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