Questa primavera Dove è uscita con la campagna “Reverse selfie” (di Ogilvy) mettendo ancora una volta in evidenza la propria mission: la ricerca dell’autenticità e dell’autostima, particolarmente nelle giovani donne. La campagna si focalizza sul fenomeno della modifica dei selfie grazie a filtri social o app dedicate. Dove non è nuova a questo tipo di operazioni. Dal 2004 il brand si è fortemente posizionato come “portavoce” del movimento body positivity e skin positivity. Posto che l’obiettivo di un brand è per definizione vendere prodotti, con il suo progetto collaterale Dove Self Esteem Dove sta contribuendo a rivedere i canoni di bellezza: negli anni ha educato circa 60 milioni tra giovani, educatori e famiglie sul tema dell’autostima e dell’accettazione. Ma quanto è grande il fenomeno? E quanto può davvero fare un brand in concreto oltre che a cavalcare un’onda in nome del marketing?
Il fatto che gli ideali di bellezza femminile possano essere raggiunti solo attraverso processi di manipolazione fisica non è certo una novità. Gli esempi storici si sprecano: dai piedini minuscoli della Cina imperiale al vitino da vespa nell’Europa del XIX secolo. Ma il mondo contemporaneo ha creato nuovi scenari di auto-miglioramento digitale, veicolati dal continuo flusso di immagini e selfie nel mondo dei social media. I social hanno anche incentivato la propensione a considerare la propria identità e il proprio corpo come una potenziale fonte di profitto, particolarmente per le giovani donne. Con l’aggiunta che la pervasività dei contenuti social è molto più impattante di quanto non fosse quella di media old school come le riviste e la tv. Nel 2019 Instagram ha annunciato che avrebbe rimosso “tutti i filtri associati alla chirurgia plastica”, ma la policy ha avuto effetto solo su quelli esplicitamente associati alla chirurgia plastica, quelli con nomie tipo “Plastica” o “Fix Me”. Tantissimi altri sono passati sottotraccia e contribuiscono a creare la Instagram face. Di Instagram face ne parla il New Yorker in quest’interessante long form, dove il famoso truccatore delle star Colby Smith dice:
“La Instagram face è una scultura irrealistica. Volume su volume. Una faccia che sembra fatta di argilla. […] Penso che il 95% delle celebrità di Instagram usi FaceTune, e che si sia sottoposto a qualche procedura cosmetica.”
Le osservazioni di Smith sono però valide anche per il resto della popolazione, non solo per la nicchia delle super celebrities. Una ricerca condotta negli Stati Uniti da Edelman Intelligence, evidenzia come su un campione di 556 ragazze di età compresa tra i 10 e i 17 anni – il 77% affermi di aver modificato o nascosto almeno una propria caratteristica fisica; l’80% di aver confrontato la propria presenza con quella di altri. La tendenza che emerge è che coloro che modificano le proprie foto hanno più probabilità di avere una bassa autostima rispetto a chi non lo fa.
La campagna di Dove Reverse Selfie risulta quindi fortemente d’attualità e si iscrive in uno scenario in cui sempre più brand cosmetici si sono accodati al trend della skin e body positivity. Probabilmente è utopia parlare di associazione di categoria o di partnership tra brand nell’ottica di perseguire un grande obiettivo sociale comune, in barba al posizionamento lungimirante di una sola marca (Dove in questo caso). Ma, pur ognuno per conto suo, quanto possono fare i brand per cambiare la società, al netto dell’interesse economico?
La risposta è: abbastanza. L’aspetto positivo è che Dove e gli altri brand che cavalcano quest’onda spesso scelgono testimonial molto seguite nel mondo social, il cui messaggio può effettivamente far presa sulle donne e le ragazzine all’ascolto. In Italia, Dove ha coinvolto personalità molto note e piuttosto diversificate: Camihawke per le millennial, Sofia Viscardi e il canale di “Venti” per le Gen Z, Alice Mangione di The Pozzoli’s family per le mamme e anche Benedetta De Luca, modella che ha fatto della sua disabilità il suo punto di forza e la psicoterapeuta Stefania Andreoli. Voci che amplificano quelle di altre donne emblema del movimento body e skin positivity come Cristina Fogazzi, in arte estetista cinica, che ha spesso preso posizione contro i filtri troppo deformanti. Oppure le attrici e conduttrici Giulia de Lellis, Aurora Ramazzotti e Matilda de Angelis che mostrano la loro acne online. Ma anche le ragazze di Belle di Faccia (progetto Instagram e ora anche libro) che si focalizzano sulla Fat Acceptance e Fat Liberation. Sono queste donne a creare la voce corale di cui sente particolarmente l’esigenza. Perché i brand possono essere catalizzatori di un movimento, ma l’autenticità del messaggio non può che arrivare dalle donne che lo vivono letteralmente sulla propria pelle.