Il prossimo 15 maggio, l’Italia avrà consumato la quantità di risorse naturali che il pianeta riesce a ripristinare in un anno. Anche se questa giornata si è spostata due giorni in avanti rispetto all’anno scorso, l’Overshoot day 2022 fotografa una situazione ancora lontana da un equilibrio sostenibile: servirebbero 2,7 pianeti per sostenere i ritmi dei consumi del nostro Paese.
Se vi interessa capire come si calcola questa giornata e qual è la vostra impronta ecologica, potete recuperare il nostro articolo dell’anno scorso. Il calcolo dell’impronta ecologica di un essere umano è chiaramente molto più approssimativo di quello di un Paese, ma il risultato è talmente sconcertante che è impossibile non soffermarsi a pensare.
Una vegana che si sposta esclusivamente in bicicletta, acquista la quasi totalità del suo cibo al mercato rionale, si rifornisce nei negozi sfusi il più possibile, veste second hand e vive in una microabitazione ben coibentata e alimentata con energia derivante da fonti rinnovabili, ma che prende comunque 4/6 aerei all’anno per lavoro, consuma 2 Terre all’anno secondo il test di Global Footprint Network . DUE. I casi sono, per l’appunto, due: o il test sa che quando lavoro troppo non ho tempo di andare al mercato ma vado al Carrefour oppure la questione ecologica travalica di misura la responsabilità individuale.
Ma siccome i problemi sistemici a livello sociale e globale sembrano non venire affrontati in maniera efficace è inevitabile che come individui si cerchi di fare il possibile. E quindi quest’anno ci siamo chieste: ma com’era la vita in Italia quando ancora il Pianeta viaggiava in pari tra le risorse consumate e quelle rigenerate? Erano gli anni precedenti al 1970, e noi abbiamo chiesto alle nostre mamme di parlarci delle loro abitudini di consumo e dei loro stratagemmi di riuso e riciclo. Un’economia circolare spinta – va detto – più dalla scarsità di risorse che dall’intento ecologico, ma ci è sembrato comunque un confronto e una testimonianza interessante.
La testimonianza che segue è quella di Claudia, che è cresciuta nella campagna lombarda fino agli anni ’70. La sua esperienza contadina è sicuramente molto diversa da quella delle famiglie più abbienti che vivevano in città.
RIFIUTI
L’affermazione forse più scioccante è che “i rifiuti non esistevano”. Qualsiasi scarto aveva almeno un secondo se non un terzo ciclo di vita.
I residui alimentari, se non potevano essere ricucinati in frittate di pasta o polpette, venivano utilizzati come concime per l’orto o mangime per gli animali. I fondi di caffè per concimare i vasi.
Gli imballaggi dell’epoca erano esclusivamente in carta, che veniva usata per alimentare le stufe o in vetro, che veniva regolarmente reso. I tappi delle bottiglie diventavano un gioco per bambini, che li usavano come biglie.
I giornali vecchi venivano utilizzati come carta igienica, con gli stecchi del gelato si facevano dei piccoli porta oggetti, le scatole in latta dei biscotti Plasmon diventavano contenitori per il materiale da cucito. Chi aveva la lavatrice, era solito conservarne l’oblò anche dopo averla sostituita per utilizzarlo come insalatiera o porta oggetti.
CARTA IGIENICA: UN LUSSO NON SCONTATO.
In Europa, ma soprattutto in Italia, la carta igienica venne considerata un lusso fino ai primi anni ‘60. Basti pensare che lo slogan della Northern Tissue dichiarava: “senza schegge” nel 1930! La carta a due veli – più facile da sciogliere nel wc – comparve invece nel 1942. Secondo i dati di Statista, nel 2018 ogni persona ha consumato in media 5,2 chili di carta igienica, con picchi di 25 chili pro capite in nord America. E i dati sono in crescita.
SLOW FASHION
Le scarpe erano sempre tramandate e mai del numero giusto. I vestiti non si compravano, si facevano in casa e venivano passati ai fratelli e alle sorelle più piccoli finché non si logoravano. A quel punto si recuperavano come stracci o venivano cuciti in presine, borsellini e pupazzetti, oppure si tagliavano in pezze da conservare, per poi confezionare coperte multicolore, antesignane del patchwork.
Il tema del “conservare” in modo da poter riutilizzare più avanti è ricorrente. Anche le calze di nylon una volta rotte venivano tagliate a striscione e conservate anche per per 2/3 anni, finché non ce n’erano abbastanza per intrecciarle in un tappeto: nulla si buttava, tutto aveva un valore.
Le lenzuola consunte diventavano stracci e assorbenti per il ciclo (che venivano persino ricamati).
VEGAN, A VOLTE SI NASCE
Treccani ha raccolto vari studi sui consumi alimentari dei nostri compaesani dall’unità d’Italia ad oggi, individuando una netta cesura tra la dieta quasi esclusivamente a base vegetale precedente al secondo dopoguerra e quella sempre più dipendente dai derivati animali dal boom economico ad oggi.
DELLA PANNOCCHIA NON SI BUTTA VIA NIENTE
Il maiale era per i ricchi. In campagna era la pannocchia la regina dell’efficienza alimentare. Le mogli dei contadini avevano il diritto di recuperare le pannocchie rimaste a terra dopo la mietitura a macchina. Le foglie più belle venivano tagliate a fettuccia e annodate per creare sotto pentole, sotto bicchieri, portamonete o persino cestini porta pane o piccoli cache pot. Con le foglie “barbute” si facevano dei pupazzetti e il resto si metteva a essiccare appeso in cortile. Una volta secchi e sgranati, i chicchi delle pannocchie diventavano mangime per polli e galline. Il cuore rimanente (che si chiama tutolo) veniva utilizzato come combustibile per estendere le riserve di legna. Mentre la cenere dei tutoli si riutilizzava mischiandola con polvere di sapone per creare la lisciva, utile per sbiancare il bucato e lucidare pentole e posate.
ENERGIA
Nell’Italia rurale degli anni ’50 e ’60 la principale fonte energetica era il fuoco. Le cascine erano infatti sprovviste sia di energia elettrica che di gas, rendendo il fuoco indispensabile per cucinare (con la stufa economica a legna) e per riscaldare gli ambienti e l’acqua per la detersione e il bucato. La cenere dalla stufa veniva utilizzata per conciare vasi, orti e campi. Le prime bombole di gas arrivarono in Italia a metà degli anni ’60.
L’acqua era un bene prezioso, principalmente per la scomodità necessaria a reperirla. Non essendoci l’acqua corrente ci si riforniva al pozzo, che non era mai troppo distante ma abbastanza scomodo da usarla con parsimonia. I piatti si lavavano utilizzando un doppio catino: uno per insaponare e uno per sciacquare.
Questo articolo non vuole assolutamente essere un elogio incondizionato dei vecchi tempi. La vita dei nostri nonni – e di tantissime comunità rurali del Sud del pianeta – non è frutto di una consapevole scelta ecofriendly, ma dettata dalla necessità. Fa però riflettere il fatto che sia proprio l’uso limitato delle risorse del Sud del pianeta a compensare l’uso smodato che ne fa il Nord. Se non fosse per i Paesi del Sud-Est Asiatico o del Sud America il World Overshoot Day (che si ricava dalla media di tutti i Paesi) che quest’anno è previsto a luglio, accadrebbe molto prima.
Il punto è che stiamo tutti vivendo largamente al di sopra delle possibilità del nostro pianeta e che se le nostre scelte individuali contattano relativamente nel grande schema delle cose, è il momento di iniziare a fare pressione su chi ha potere sulle scelte collettive.
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