Hai presente quando ti ritrovi a piangere davanti allo schermo del computer o della tv? No, non è perché stai ascoltando l’ennesima cattiva notizia, o c’è stato un brutto colpo di scena nella tua serie preferita: è semplicemente pubblicità. A noi è capitato, anche se tra le adv che fanno piangere e quelle che fanno ridere preferiamo di gran lunga le seconde.
Questo si chiama marketing emozionale, ed è una strategia di comunicazione che sfrutta le emozioni creando una connessione emotiva tra brand e consumatore.
Il concetto si basa su studi neuroscientifici che dimostrano come il cervello umano prenda decisioni: in particolare, il sistema libico reagisce prima della corteccia prefrontale. Detto nel linguaggio dei comuni mortali, la parte del cervello che elabora emozioni agisce prima di quella dove si prendono decisioni razionali. Questo è il motivo per cui spesso si compra d’istinto, e in seguito si giustifica l’acquisto con la logica.
Cosa si intende per marketing emozionale?
Marc Gobè*, considerato il pioniere del marketing emozionale, definisce questa tecnica come
“un approccio che mira a creare un legame emotivo duraturo tra i consumatori e un marchio. Questo legame si basa sulla comprensione dei bisogni e dei desideri emotivi delle persone, andando oltre le semplici caratteristiche del prodotto o servizio offerto”*
Gobé sottolinea l’importanza di coinvolgere i consumatori attraverso esperienze sensoriali e sentimentali, creando una relazione basata su fiducia, lealtà e rispetto.
Non pensare che questo sia un approccio evoluto e moderno: già dagli anni ’30 Edward Bernays (nipote del buon vecchio Freud) inizia ad applicare la psicologia delle emozioni alla pubblicità, influenzando le scelte di consumo attraverso i desideri. Questo fenomeno viene poi studiato approfonditamente e dagli anni ’70, con la nascita della tv, i brand iniziano a sfruttare lo storytelling per coinvolgere emotivamente i consumatori.
Se un tempo l’obiettivo era quello di suscitare emozioni, oggi il marketing emozionale ha lo scopo di legare il brand a valori e temi molto caldi come l’inclusività, la sostenibilità, la lotta al razzismo e i pregiudizi in generale. Per un brand risulta fondamentale far sapere ai propri consumatori che la pensano come loro, che sono guidati dagli stessi ideali, affinché il consumatore possa rispecchiarsi nel brand e si crei un senso di appartenenza.
Marketing emozionale e neuroscienze: il ruolo del nostro cervello
Non siamo macchine pensanti che provano emozioni, ma esseri emotivi che pensano.
Non lo diciamo noi, ma il neuroscienziato Antonio Damasio, il quale ha dimostrato che le emozioni sono fondamentali per prendere decisioni**. Secondo Gerald Zaltman, noto professore di Harvard, addirittura il 95% delle decisioni d’acquisto sono guidate dall’emotività, più che dalla razionalità. Se volessi approfondire, di bias cognitivi e neuromarketing ne avevamo già parlato.
Ma quali sono le emozioni su cui i marketers puntano, le leve psicologiche che si attivano e che inducono un consumatore ad agire? A livello generale, possiamo dire che le emozioni sfruttate dal marketing emozionale sono emozioni forti. Possiamo distinguerle in emozioni positive e negative.
Le emozioni positive creano una connessione con il consumatore, facendolo fidelizzare al brand. Fra le più rilevanti:
- Meraviglia: cattura l’attenzione e fa rimanere la campagna pubblicitaria impressa nella mente del consumatore. Redbull è uno dei brand più forti nel creare spot che creino stupore.
- Orgoglio e ispirazione: stimola l’empowerment, spinge a migliorarsi. Traspare da storie di successo e resilienza, come quelle degli atleti raccontate da Nike.
- Curiosità: fa crescere l’engagement e l’interesse verso un prodotto o un brand. Apple durante i suoi lanci ne crea moltissimo di hype.
Le emozioni negative stimolano invece urgenza e cambiamento:
- Fomo (fear of missing out): è quello che provi ogni volta che leggi “ultimi due posti disponibili”, “affrettati a comprare questa cosa, le iscrizioni chiudono a mezzanotte” (tranquilla: puntualmente poi riaprono dopo qualche mese). La fomo è la paura di essere esclusi, di perdersi qualcosa di straordinario. Fa leva sul principio di scarsità e di urgenza.
- Senso di appartenenza: correlato alla fomo, spinge il consumatore a volersi sentire parte di un gruppo, di una community di consumatori fidelizzati a un brand.
- Rabbia e senso di colpa: creano un senso di giustizia sociale e aumentano la sensibilizzazione. Sono usate frequentemente da enti o associazioni benefiche, che spingono il consumatore a fare del bene o ad avere comportamenti più responsabili.
Rientra nelle emozioni negative anche la tecnica del “sadvertising”, che fa leva su tristezza, paura, senso di colpa o nostalgia per commuovere l’utente. L’emozione generata, seppur negativa, farà in modo che il brand rimarrà impresso nella mente del pubblico: in fondo è questo lo scopo del marketing emozionale.
Strategie di marketing emozionale
Tutte queste emozioni vengono suscitate grazie all’ implementazione di diverse tecniche e strategie:
1. Uso dei colori e impatto emozionale
I colori giocano un ruolo cruciale nel marketing emozionale, influenzando la percezione e le sensazioni del consumatore. Ogni colore evoca emozioni diverse:
- il rosso trasmette energia e urgenza (spesso usato nei saldi),
- il blu comunica affidabilità e sicurezza (perfetto per banche e tecnologia),
- il giallo stimola ottimismo e felicità (usato da McDonald’s e Ikea),
- il verde richiama natura e sostenibilità.
Un esempio efficace è Coca-Cola, che usa il rosso per trasmettere passione ed entusiasmo, rafforzando la connessione con il pubblico.
2. Storytelling: il potere delle storie
Questa a nostro avviso è la tecnica più efficace e meno orientata alla vendita, perché permette al brand di trasmettere i propri valori e posizionarsi in modo definito. Le storie stimolano l’immaginazione e attivano l’empatia, umanizzando il brand e avvicinandolo al consumatore: l’acquisto sarà solo una naturale conseguenza di questo processo. Un esempio è Nike, che attraverso il suo claim Just Do It e le storie di atleti resilienti ispira il pubblico a superare i propri limiti.
3. Uso del linguaggio: trigger words e parole emozionali
Il linguaggio è uno strumento che ricopre un ruolo chiave nel marketing emozionale, perché le parole scatenano risposte psicologiche istintive.
Le trigger words (parole che evocano emozioni e azioni) sono usate per attrarre l’attenzione e spingere il consumatore ad agire. Termini come “valido solo per oggi”, “sconto che non si ripeterà mai più” creano senso di urgenza e desiderio. “Soddisfatto o rimborsato” trasmette sicurezza. L’uso di queste trigger words fa parte delle tecniche di copywriting e viene usato moltissimo nella vendita di prodotti o servizi digitali.
4. Social proof: l’efficacia della riprova sociale
Robert Cialdini* ha inserito la riprova sociale tra le sei armi della sua persuasione. Questa è una leva psicologica molto efficace, che sfrutta il principio secondo cui le persone tendono a fidarsi delle scelte degli altri: quante volte ti capita di comprare il prodotto o di andare nel ristorante che ha più recensioni?
La riprova sociale emerge da numerosi elementi:
- Recensioni e valutazioni: Amazon, Booking e Tripadvisor mostrano stelle e commenti per influenzare le decisioni d’acquisto.
- Numeri elevati di utenti: Netflix evidenzia le serie “più viste” per incoraggiare il binge-watching.
- Ambassador e influencer che hanno un grande potere sul proprio pubblico. Alcuni esempi: George Clooney e Nespresso, Beyoncé e Adidas, Roger Federer e Rolex.
- Code e folla nei negozi suggeriscono che il prodotto vale l’attesa. Apple ne è un esempio, ma se sei nata fra gli anni ’80-’90 ricorderai anche le interminabili code fuori dai negozi di Abercrombie&Fitch!
5. Creazione di esperienze immersive
Le esperienze consentono di instaurare un legame profondo con il pubblico, sia che siano fisiche (eventi, pop-up store, campagne interattive) o digitali (realtà aumentata, storytelling interattivo).
Torniamo ad Abercrombie&Fitch: ci faceva emozionare quando dopo un’ora di coda potevamo finalmente farci scattare una polaroid con i modelli a torso nudo, e l’esperienza di acquisto era memorabile, grazie ai negozi inondati di profumo e alle luci soffuse (per colpa delle quali però impiegavi cinque minuti a trovare la tua taglia).
Marketing emozionale: 4 esempi di successo
Di campagne emozionali ce ne sono infinite. Di campagne fatte bene, che promuovono un messaggio positivo e stimolano alla riflessione, un po’ meno.
Ecco una selezione delle nostre preferite:
Volvo: A Million More
- Campagna: A Million More (mostra fotografica, 2021)
Questa mostra fotografica, realizzata dal noto fotografo Martin Schoeller, espone fotografie e messaggi audio delle vittime di incidenti stradali, sopravvissute grazie alla cintura di sicurezza a tre punti inventata da Volvo nel 1959 – invenzione che ha salvato la vita a oltre un milione di persone. - Ci è piaciuto perchè: ha uno scopo sociale e porta alla luce una tematica estremamente importante, quella della sicurezza stradale. Lo fa senza suscitare paura o ansia, ma attraverso fotografie di persone reali e comuni che trasmettono la vulnerabilità dell’uomo e la gratitudine di chi si è salvato, rendendo la narrazione impattante e memorabile.
Procter & Gamble: Widen the Screen
- Campagna: Widen the Screen (video, 2021)
Questa campagna racconta la storia di tre persone di colore: degli adolescenti in un negozio, una donna incinta con diversi bambini al seguito ed un ragazzo intento a guidare un’auto. Le premesse iniziali non sono delle migliori e, cavalcando i pregiudizi, il video lascia intendere che da lì a poco potrebbe succedere qualcosa di poco piacevole. Nulla di tutto questo: i due adolescenti nel negozio si erano dati appuntamento con un amico, la donna aspettava il marito amorevole ed il ragazzo si stava recando a casa della famiglia per una festa con amici e parenti. - Ci è piaciuto perchè: l’azienda condanna il razzismo e sposa la causa delle persone di colore, tematica attuale e ancora di più in USA. Il titolo della campagna, che tradotto letteralmente significa “Allarga lo schermo”, ci invita ad aprire la nostra mente per non cadere nei soliti pregiudizi verso le persone di colore.
Always: Like a Girl
- Campagna: Like a Girl (video, 2014)
Nel video della campagna a un gruppo di adulti e adolescenti (sia maschi che femmine) viene chiesto di eseguire diverse azioni: correre, lanciare una palla e combattere “come una ragazza”. La maggior parte di loro esegue questi gesti in modo esageratamente fragile e poco coordinato, rafforzando lo stereotipo che le ragazze siano meno forti e capaci dei ragazzi. Successivamente la stessa richiesta viene fatta a bambine più piccole, che invece corrono velocemente, tirano con forza e mostrano sicurezza nei loro movimenti.
Questo contrasto evidenzia come gli stereotipi di genere si radichino con la crescita: le bambine, non ancora influenzate dai pregiudizi della società, vedono il “fare qualcosa come una ragazza” in modo neutrale e replicano le azioni richieste agendo in modo naturale, secondo le proprie potenzialità, mentre gli adolescenti e gli adulti lo associano a un’idea di debolezza. - Ci è piaciuto perché: Always ribalta un pregiudizio sociale, in cui le ragazze vengono denigrate e percepite come più deboli e goffe, trasformando l’espressione “like a girl” in un simbolo di forza ed empowerment. Lo spot fa leva su un insight potente, ovvero la perdita di autostima nelle ragazze durante l’adolescenza, e il contrasto tra il modo di agire fra adulti e bambine crea un forte impatto emotivo. Invita anche alla riflessione e a cambiare il modo di esprimersi, evitando di usare espressioni sessiste.
Red Bull: l’impresa di Felix Baumgartner
- Campagna: Felix Baumgartner e il salto dalla stratosfera (video, 2012)
Le campagne di Red Bull raccontano storie di coraggio e sfida – un esempio calzante è la sponsorizzazione dell’impresa sovrumana di Felix Baumgartner: il suo sogno era di battere il record di lancio in caduta libera. Ci è riuscito, lanciandosi dalla stratosfera a 39km di altitudine, diventando il primo uomo al mondo a infrangere il muro del suono (non preoccuparti, è andato tutto bene e Baumgartner è ancora vivo). Lo streaming in diretta ha raggiunto 8 milioni di spettatori su YouTube, battendo ogni record. - Ci è piaciuto perchè: lo spot è estremamente coerente con i valori del brand di avventura, adrenalina, superamento dei limiti umani. Oltre che a generare un notevole impatto mediatico, ha rafforzato il posizionamento del brand come promotore di imprese straordinarie.
I lati oscuri del marketing emozionale
L’obiettivo principale delle aziende è vendere (o fatturare, come si dice a Milano), e il marketing è quella disciplina che si occupa proprio di far vendere. Quello che a volte risulta discutibile è il modo in cui lo si fa.
Non è tutto oro quel che luccica, anche il marketing emozionale nasconde diverse criticità:
- Ipocrisia: essere ipocriti è una delle cose peggiori che un brand possa fare. Risultano esserlo quelle aziende che attraverso le proprie campagne promuovono valori che in realtà non si rispecchiano nella loro filosofia aziendale. Un esempio è Gillette con lo spot “The Best Man Can Be”, una campagna che affrontava il tema della mascolinità tossica, della parità di genere e del bullismo. Il video mostrava scene di comportamento scorrette da parte degli uomini (come molestie, risse e atteggiamenti sessisti) seguite da esempi di uomini che invece intervenivano per fermare queste azioni. Di problemi qui ce ne sono diversi:
> Gillette ha storicamente promosso stereotipi maschili nei suoi spot, spesso raffigurando uomini ipermascolini.
> Il brand non aveva mai preso una posizione forte su questi temi prima dello spot, dando l’impressione che si trattasse di un’operazione puramente commerciale e non di un reale impegno per la causa.
> I prezzi dei rasoi femminili Gillette erano (e sono ancora) più alti rispetto a quelli maschili, un chiaro esempio di “pink tax” (la pratica di far pagare di più i prodotti destinati alle donne). - Assenza di valore o truffa: si verifica quando un’azienda vende prodotti o servizi che promettono risultati miracolosi, ma il cui beneficio è pressoché nullo. Rientrano in questa categoria molti dei prodotti in commercio contro la cellulite o la caduta dei capelli: il marketing fa leva sulle insicurezze del consumatore, facendolo sentire inadeguato e promettendo di migliorare la sua condizione, quando in realtà non è così. Lo stesso accade con alcune raccolte fondi di dubbia trasparenza, che commuovono il pubblico con storie strappalacrime ma non destinano realmente il denaro alle cause dichiarate.
Quindi, il marketing emozionale funziona?
Per concludere, riteniamo che il marketing emozionale sia uno strumento di comunicazione efficace, che si distingue dalle altre tecniche di marketing per la sua capacità di creare un impatto duraturo. Non è “pushy” e non vende a freddo, ma contribuisce a creare una solida brand identity, a definire un posizionamento chiaro e a fidelizzare il pubblico.
Tuttavia, perché sia efficace ed eticamente valido, è fondamentale che sia coerente con i valori aziendali: un brand non può dichiararsi promotore di determinati principi senza rispecchiarli concretamente nella propria filosofia e nelle proprie azioni.
La chiave sta nell’equilibrio tra coinvolgimento ed etica: emozionare e lasciare un segno sì, rimanendo però fedeli a se stessi. Ricollegandoci all’esempio di Red Bull, che risulta virtuoso: l’azienda ha consolidato il suo posizionamento attraverso un marketing emozionale coerente alla sua brand identity. I suoi spot colpiscono e restano impressi, riflettendo perfettamente la storia e i valori del brand, e rafforzandone la credibilità.
Se realizzato così, il marketing emozionale supera ogni barriera!
*Fonti: Emotional Branding: The New Paradigm for Connecting Brands to People (2001) L'Errore di Cartesio (1994) Influence: The Psychology of Persuasion, Robert Cialdini (1984)
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