Per anni abbiamo identificato la sostenibilità con la digitalizzazione. La rivoluzione informatica prometteva meno carta, meno archivi, meno energia per produrre, distribuire, conservare e smaltire i supporti fisici su cui viaggiavano le informazioni. E per quanto la promessa sia stata mantenuta, l’efficienza della società digitale ha fatto sì che la quantità di informazioni che circolano, seppur in maniera impalpabile, sia cresciuta a dismisura. Se una volta le comunicazioni ufficiali viaggiavano solo tramite posta o fax, oggi si stima che in tutto il mondo si inviino circa 360 miliardi di mail al giorno. Ed è un numero in continua crescita: +18% dal 2020.
Se un tempo il cinema era una forma d’arte costosa e la televisione una prerogativa di governi e di un manipolo di facoltosi imprenditori, oggi chiunque può produrre video e metterli a disposizione del mondo in pochi clic. Solo su YouTube vengono caricate circa 500 ore di contenuto al minuto. I suoi utenti guardano in media 1 miliardo di ore di video al giorno. E se allarghiamo il campo alla mole globale di dati che circola ogni secondo per lo streaming di Netflix, Amazon, Disney Plus, ma anche per permetterci di lavorare, studiare, informarci, svagarci, gestire la nostra vita online o persino delinquere… Il consumo di energia è inimmaginabile.
Inimmaginabile ma sicuramente calcolabile. Nel 2020 la Commissione Europea ha stimato che il settore ICT – Information and communication technology – è stato responsabile del 5-9% del consumo mondiale di elettricità, generando oltre il 2% delle emissioni globali di gas serra. Si tratta di emissioni pari a quelle del traffico aereo mondiale. È evidente che siamo arrivati al punto in cui anche il digitale ha un impatto sull’ambiente, e un impatto piuttosto grosso.
Ecologia digitale: cosa significa di preciso?
Quando il Web 2.0, quello dello user generated content, ha debuttato nei primi anni 2000, si è aperta la strada per la crescita esponenziale delle piattaforme digitali che ospitavano questo tipo di contenuto. Da Google ad Amazon e da Facebook a Tik Tok, il panorama attuale del web è sostanzialmente un oligopolio di Big Tech. Quel che è certo, è che le piattaforme non sono state pensate per funzionare in modo ecologico, ma per generare il massimo profitto.
Per questo il settore accademico dell’ecologia digitale ha da qualche anno iniziato a fare ricerca su come progettare e utilizzare tecnologie meno impattanti a livello ambientale. Per approfondire, abbiamo fatto una chiacchierata con Nicola Bonotto, Co-fondatore dell’agenzia digitale Piano D*, certificata B Corp e specializzata nella realizzazione di siti web ed e-commerce sostenibili.
Anche internet inquina
I maxi energivori: IA, Blockchain e streaming video
Ciao Nicola, così a caldo, cosa inquina di più nel digitale e in che modo?
Iniziamo col dire che se internet fosse un Paese, sarebbe il sesto consumatore di energia elettrica al mondo. Anche se ci sono ancora poche ricerche e dati di settore, sicuramente i tool più energivori sono le IA, seguite dalla Blockchain, le cui applicazioni più note sono le criptovalute, il cui mining consuma una quantità di energia esorbitante. E poi sicuramente i servizi di streaming video seguiti dai cloud privati e dagli archivi dei siti web.
Ecco, adesso ci sentiamo in colpa per quando interroghiamo Chat GPT…
Attenzione che la componente più energivora dei sistemi di IA non è tanto l’uso che ne fa l’utente finale, ma il consumo in fase di apprendimento e addestramento. Si tratta di un processo che avviene 1-2 anni prima del lancio. Per funzionare, un’IA generativa deve acquisire una gigantesca capacità computazionale e mole di dati.
L’impronta ecologica digitale delle piattaforme
E invece per quanto riguarda gli innumerevoli servizi di streaming video? YouTube, Neflix, Prime Video…
Anche questi consumano tantissimo perché hanno dei cataloghi enormi e gestiscono flussi di dati in entrata ed in uscita mastodontici. Spesso hanno utili maggiori del PIL di Stati interi. Se ti ricordi durante il primo lockdown del 2020 fu chiesto a Netflix di ridurre la banda, in Europa stavamo tutti attaccati e consumava veramente tanto.
In generale le piattaforme sono talmente estese che è difficile percepirne la dimensione, ma proprio per questo hanno un impatto sul consumo di energia importantissimo. Ad esempio, se Microsoft era sulla strada giusta per ambire al Net Zero, ora avendo acquisito OpenAi ha visto salire le sue emissioni del 20%. Detto ciò, questa pesantissima influenza può pesare anche in senso positivo: se le grandi piattaforme decidessero in massa di passare all’energia sostenibile, l’impatto sarebbe incredibile.
L’impatto ambientale dei siti web
L’hosting e l’energia rinnovabile
A proposito di energia, mi viene in mente il grosso Data Center di Aruba in provincia di Bergamo, che produce la propria energia idroelettrica per raffreddare i server…
Il fatto che i data center utilizzino energia rinnovabile è molto importante! Tuttavia ti lancio una provocazione: in Italia abbiamo ancora una scarsa capacità di produrre energia rinnovabile, chi decide come usarla? Se il paese in provincia di Bergamo che ospita i server di Aruba ha un fiume, non sarebbe più utile utilizzarne l’energia per riscaldare case e industrie invece che raffreddare un Data Center? È il grande tema della priorità di utilizzo.
Sostenibilità digitale ed Unione Europea
A questo proposito, a che punto siamo con la regolamentazione?
Le norme dell’UE impongono alle grandi imprese e alle società quotate di pubblicare relazioni periodiche sui rischi sociali e ambientali cui sono esposte e sull’impatto delle loro attività sulle persone e sull’ambiente. È la CSRD, corporale social reporting directory, la direttiva europea che obbliga alla rendicontazione delle emissioni aziendali, comprese quelle digitali. Questo obbliga le aziende a richiedere questi dati a catena nella propria filiera di fornitori, compresi quelli digitali. In questo senso la Francia è sicuramente capofila per quanto riguarda l’ecologia digitale.
Come si misura l’impronta ecologica digitale di una PMI?
Il cliente tipo di Piano D è tendenzialmente una PMI italiana a cui stanno a cuore i valori dell’ecosostenibilità e dell’accessibilità. Per ciascuno dei nostri clienti cominciamo con un’analisi d’impatto tramite sitigreen.it il motore open source che abbiamo contribuito a sviluppare secondo un modello di design sostenibile insieme a varie community internazionali come ClimateAction.tech e Sustainable UX. Da questi dati iniziali si estrapola un’analisi e un programma di efficientamento dei consumi basato sulle linee guida per la sostenibilità. Linee guida che noi stessi abbiamo contribuito a realizzare con il consorzio W3C, lo stesso ente che ha emesso le linee guida per l’accessibilità.
Siti green e sostenibili: in che modo impatta il digitale?
Piano D è il primo partner italiano certificato di The Green Web Foundation, fondazione no-profit che monitora la sensibilità degli operatori del settore IT sul fronte della sostenibilità ambientale. Per questo gli abbiamo chiesto di spiegarci punto per punto l’impatto ambientale di un sito internet.
Nicola, in quali ambiti agisce Piano D in fase di sviluppo per rendere i siti internet più sostenibili?
Hosting sostenibile
La scelta del Data Center in cui ospitare i siti è fondamentale, noi abbiamo scelto Seeweb perché è da sempre molto attenta al tema ambiente: è certificata ISO, attua pratiche di ricondizionamento dell’hardware e ha delle policy di raffreddamento molto stringenti ed efficienti.
UX efficace ed energeticamente efficiente
Per essere il più sostenibile possibile, l’UX va studiata in modo che i contenuti vengano mostrati all’utente quando servono e che siano chiari ed essenziali, clean and lean, niente dark pattern. Ti faccio un esempio: il classico slide in apertura dell’ homepage. Realisticamente nessun utente va oltre la seconda slide. Eliminare quelle in eccesso significa eliminare immagini plausibilmente pesantucce che nessuno guarderà lì.
I siti sostenibili sono SEO friendly
Un sito sostenibile migliora la SEO. Più un sito è leggero più si caricherà velocemente e si posizionerà meglio sul motore di ricerca. In questo senso è importante come vengono caricati i contenuti multimediali: la SEO tecnica è fondamentale in fase di sviluppo. Ottimizzare un sito in modo che si posizioni correttamente su Google contribuisce anche a limitare le ricerche e permette quindi di risparmiare energia.
E-commerce sostenibile, è possibile?
L’idea che un e-commerce sia più sostenibile dei negozi fisici è un falso mito. Pensa che un terzo degli imballaggi di cartone in US derivano da acquisti e-commerce. Se poi c’è anche il reso gratuito l’impatto tra imballaggio e trasporto multiplo è altissimo. Un semplice esempio di come si può rendere un e-commerce più sostenibile è introducendo uno strumento di aiuto sulla selezione della taglia. Sembra una banalità ma solo quello permette di ridurre i resi del 20%!
Prossimi eventi e conferenze sul digitale sostenibile
Digital Ethics Forum
Torino, Roma
Online e in presenza
06 – 07 – 08 Novembre 2024
Un evento rivolto ad aziende, docenti, studenti, addetti ai lavori ma anche appassionati e cittadini
Libri per approfondire
Sloweb. Conversazioni per un digitale sostenibile – con il contributo di Nicola Bonotto e Piano D
Piattaforme digitali e produzione culturale
Ecologia digitale – con il contributo di Nicola Bonotto e Piano D
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